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Legge di Jante

La Legge di Jante è un concetto presente nella cultura scandinava e in generale nordica. È stato originariamente formulato dall’autore Dano-norvegese Aksel Sandemose, nel romanzo Un fuggitivo incrocia le sue tracce del 1933.

  1.     Non devi credere di essere qualcosa.
  2.     Non devi credere di valere quanto noi.
  3.     Non devi credere di essere più intelligente di noi.
  4.     Non devi immaginarti di essere migliore di noi.
  5.     Non devi credere di saperne più di noi.
  6.     Non devi credere di essere più di noi.
  7.     Non devi credere di essere capace di qualcosa.
  8.     Non devi ridere di noi.
  9.     Non devi credere che a qualcuno importi di te.
  10.     Non devi credere di poterci insegnare qualcosa.

La legge di Jante viene oggi associata a qualsiasi società o comunità di persone che sia chiusa, presuntuosa, diffidente dell’esterno e di mentalità ristretta. Jante è il nome dato da Sandemose a un piccolo villaggio danese, ispirato a Nykøbing Mors, il suo paese natale.

Niccolò Macchiavelli

Niccolò Macchiavelli
Nicolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese di buone tradizioni culturali. Ebbe un’educazione umanistica, basata sui classici latini, ma non apprese il greco. Un prezioso documento della sua formazione culturale è una copia di suo pugno del “De rerum natura” di Lucrezio, negli anni giovanili, che testimoniano il suo indirizzo fortemente laico e l’interesse per una cultura materialistica ed epicureista.
 
Nel febbraio del 1498 concorse alla segreteria della seconda cancelleria del comune, ma poté ottenere la carica solo nel giugno di quell’anno (dopo la caduta di Savonarola), e nel luglio divenne segretario anche di un’altra magistratura. I suoi incarichi gli conferivano grandi responsabilità nel campo della politica interna, estere e militare della Repubblica, implicava pure missioni diplomatiche presso stati limitrofi e stranieri, con una fitta rete di corrispondenze.

I 14 anni di segreteria furono preziosi per Machiavelli, perché gli consentirono di accumulare un’esperienza diretta della realtà politica e militare del tempo, da cui egli poté trarre lo spunto per le riflessioni, le teorie e le analisi trasferite poi nelle sue opere.

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Delitto e Castigo (Fëdor Mikhajlovic Dostoevskij)

Il capolavoro di Fëdor Mikhajlovic Dostoevskij, "Delitto e Castigo" (Преступление и наказание) risulta non di semplice lettura in quanto l’autore spesso si dilunga su riflessioni, controversie psicologiche e trabocchetti interni al protagonistae alle vicende. Tali difficoltà vengono accentuate, in maniera piuttosto decisa e non so bene se volontaria, anche dall’uso di parecchie espressioni in lingue straniere (solitamente in francese, tedesco e polacco), dalla citazione di unità di misura russe lontane dal sistema metrico decimale.
Anche l’infinità di nomi, diminutivi e a volte diminutivi dei diminutivi (ad esempio il nome della sorella del protagonista, il suo nome è Avdotja, chiamata poi Dunja, e infine Dunjetscka.) La vicenda è ambientata a Pietroburgo. Una Pietroburgo sempre cupe e afosa, illuminata solo dalla luce fioca di una candela o di una lampada scarsamente alimentata. Il sociale  del romanzo rispecchia molte delle caratteristiche della società russa del tempo.

 

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Cantico di Natale (Charles Dickens)

 In questo classico si racconta della malattia da attaccamento al denaro, da cui in alcuni casi, si può anche guarire.  "Un cantico di Natale" quello di Dickens certamente conosciuto ed apprezzato da tutti. Questa fiaba da raccontare a bambini e adulti, una storia di sofferenza, di morte, ma anche di solidarietà umana, in cui grotteschi fantasmi si susseguono sfumando nel sogno e nell’incubo privato. Un grande ritratto di solitudine e di vecchiaia, soprattutto un magico regalo di Natalalizio che trasforma il gelo e il buio nel calore di un sorriso per tutti.

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Carpe diem (Orazio)

 

Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pati!
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum, sapias, vina liques et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

Orazio
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Ad Apollo (Orazio)

Cosa può chiedere un poeta offrendo una coppa

di vino nuovo all'altare di Apollo?

cosa implorare? Non le messi ricche

che maturano in Sardegna,

gli armenti cosí invidiabili della Calabria

infuocata, non l'oro o l'avorio dell'India,

non i campi che il Liri, fiume silenzioso,

con acque tranquille corrode.

Lascia che con la falce poti le viti di Cales

chi le ebbe dalla fortuna e che in calici d'oro

si beva i vini barattati con unguenti

il mercante arricchitosi,

credi, col favore degli dei, se piú di una volta

l'anno può solcare senza pericolo le acque

dell'oceano.

Io mi nutro di olive,

di cicoria, di malve leggere.

Concedimi dunque, Apollo, che in buona salute

goda di quanto possiedo e, ti prego,

con mente lucida: non voglio trascinare

muto una vecchiaia deforme.


Orazio

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