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Legge di Jante

La Legge di Jante è un concetto presente nella cultura scandinava e in generale nordica. È stato originariamente formulato dall’autore Dano-norvegese Aksel Sandemose, nel romanzo Un fuggitivo incrocia le sue tracce del 1933.

  1.     Non devi credere di essere qualcosa.
  2.     Non devi credere di valere quanto noi.
  3.     Non devi credere di essere più intelligente di noi.
  4.     Non devi immaginarti di essere migliore di noi.
  5.     Non devi credere di saperne più di noi.
  6.     Non devi credere di essere più di noi.
  7.     Non devi credere di essere capace di qualcosa.
  8.     Non devi ridere di noi.
  9.     Non devi credere che a qualcuno importi di te.
  10.     Non devi credere di poterci insegnare qualcosa.

La legge di Jante viene oggi associata a qualsiasi società o comunità di persone che sia chiusa, presuntuosa, diffidente dell’esterno e di mentalità ristretta. Jante è il nome dato da Sandemose a un piccolo villaggio danese, ispirato a Nykøbing Mors, il suo paese natale.

Robespierre: L’idea più stravagante

L’idea più stravagante che possa nascere nella testa di un uomo politico è quella di credere che sia sufficiente per un popolo entrare a mano armata nel territorio di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua costituzione. Nessuno ama i missionari armati; il primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli come nemici. […] Voler dare la libertà ad altre nazioni prima di averla conquistata noi stessi, significa garantire insieme la servitù nostra e quella del mondo intero. […] Sono stati i parlamenti, i nobili, il clero, i ricchi che hanno dato la spinta alla rivoluzione; solo dopo è comparso il popolo. Essi se ne sono pentiti o per lo meno hanno voluto fermare la rivoluzione quando hanno visto che il popolo poteva riconquistare la sua sovranità; ma sono loro che l’hanno cominciata; senza la loro resistenza e i loro calcoli sbagliati la nazione sarebbe ancora sotto il giogo del dispotismo.

Maximilien de Robespierre

(2 gennaio 1972: da Oevres, t. VIII, pp. 81-83)