Archivi categoria: Poesia

Quando mostra a quest’occhi (Gaspara Stampa)

Quando mostra a quest'occhi Amor le porte
de l'immensa bellezza ed infinita
de l'unico mio sol, l'alma invaghita
de le sue glorie par che si conforte.
Quando poi mostra a la memoria a sorte
quelle di crudeltà mai non udita,
tutta a l'incontro afflitta e sbigottita
resta preda ed imagine di morte.
E così vita e morte, e gioie e pene,
e temenza e fidanza, e guerra e pace
per le tue mani, Amor, d'un luogo viene.
Né questo vario stato mi dispiace,
sì son dolci i martìri e le catene;
ma temo che sarà breve e fugace.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Poi che disia cangiar pensiero (Gaspara Stampa)

Poi che disia cangiar pensiero e voglia
l'empio signor, ch'onoro ed amo tanto,
senza curar de' fiumi del mio pianto,
e del mancar de la mia frale spoglia,
io prego morte, che di qua mi toglia,
perché non abbia questo crudo il vanto;
o prego Amor, che mi rallenti alquanto,
poi che de' doni suoi tutta mi spoglia;
sì che o morta non vegga tanto danno,
o viva e sciolta non lo stimi molto,
allor che gli occhi altro mirar sapranno.
Dunque o sia falso il mio temere e stolto,
o resti sciolta al rinovar de l'anno,
o queti il corpo in bel marmo sepolto.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Occhi miei lassi (Gaspara Stampa)

Occhi miei lassi, non lasciate il pianto,
come non lascian me téma e spavento
di veder tosto a noi rubato e spento
il lume ch'amo e riverisco tanto.
Pregate morte, se si può, fra tanto
che mi venga essa a cavar fuor di stento;
perché morir a un tratto è men tormento,
che viver sempre a mille morti a canto.
Io direi che pregaste prima Amore
che facesse cangiar voglia e pensiero
al nostro crudo e disleal signore;
ma so che saria invan, perché sì fiero,
così indurato ed ostinato core
non ebbe mai illustre cavaliero.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Io accuso talora Amor e lui (Gaspara Stampa)

Io accuso talora Amor e lui
ch'io amo; Amor, che mi legò sì forte;
lui, che mi può dar vita e dammi morte,
cercando tôrsi a me per darsi altrui;
ma, meglio avista, poi scuso ambedui,
ed accuso me sol de la mia sorte,
e le mie voglie al voler poco accorte,
ch'io de le pene mie ministra fui.
Perché, vedendo la mia indegnitade,
devea mirar in men gradito loco,
per poterne sperar maggior pietade.
Fetonte, Icaro ed io, per poter poco
ed osar molto, in questa e quella etade
restiamo estinti da troppo alto foco.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Fammi pur certa (Gaspara Stampa)

Fammi pur certa, Amor, che non mi toglia
tempo, fortuna, invidia o crudeltade
la mia viva ed angelica beltade,
quella ch'appaga e queta ogni mia voglia;
e dammi quanto sai tormento e doglia:
che tutto mi sarà gioia e pietade;
tommi riposo, tommi libertade,
e, se ti par, tommi anco questa spoglia:
che per certo io morrò lieta e contenta,
morendo sua, pur che non vegga io
ch'ella sia fatta d'altra donna, o senta.
Questa sol tèma turba il piacer mio,
questa fa ch'a' miei danni non consenta,
e fa la speme ritrosa al desio.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Che bella lode (Gaspara Stampa)

Che bella lode, Amor, che ricche spoglie
avrai d'una infiammata giovenetta,
che t'è stata sì fida e sì soggetta,
seguendo più le tue che le sue voglie,
se per te così tosto si discioglie
da la catena, che l'aveva stretta,
la qual le piace sì, sì le diletta,
ch'a penar dolcemente par l'invoglie?
Non conviene ad un dio l'esser sì lieve,
massimamente quando il cangiar stato
non è diletto altrui, ma doglia greve.
Ma tu pur segui il tuo costume usato,
e fai la gioia mia fugace e breve,
ritogliendomi il ben che m'hai donato.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Cantate meco (Gaspara Stampa)

Cantate meco, Progne e Filomena,
anzi piangete il mio grave martìre,
or che la primavera e 'l suo fiorire
i miei lamenti e voi, tornando, mena.
A voi rinova la memoria e pena
de l'onta di Tereo e le giust'ire;
a me l'acerbo e crudo dipartire
del mio signore morte empia rimena.
Dunque, essendo più fresco il mio dolore,
aitatemi amiche a disfogarlo,
ch'io per me non ho tanto entro vigore.
E, se piace ad Amor mai di scemarlo,
io piangerò poi 'l vostro a tutte l'ore
con quanto stile ed arte potrò farlo.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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A che più saettarmi, arcier spietato? (Gaspara Stampa)

A che più saettarmi, arcier spietato?
Se tu lo fai per mostrar la tua forza,
io ho già tutto dentro e ne la scorza
questo misero corpo arso e 'mpiagato.
Se tu lo fai per farmi un dì placato
chi la mia libertà mi lega e smorza,
tu speri invan, perché tua poggia ed orza
nulla rileva il suo legno ostinato.
Egli si pasce del mio crudo strazio,
quanto è maggior, e de l'aspre mie pene,
non pur che mai ne sia pentito e sazio;
ed in una gran téma mi mantiene
che, fatto d'altra donna, in breve spazio
mi torrà le sue luci alme e serene.

Gaspara Stampa (1523-1554)
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Io vorrei essere il rosa e l’argento (Amy Lowell)

Io vorrei essere il rosa e l'argento
nel correre lungo i sentieri,
ed Egli mi inseguirebbe inciampando,
turbato dal mio riso.
Vedrei il sole balenare nell'elsa
della sua spada e nelle fibbie delle sue scarpe.
Mi piacerebbe condurlo in un labirinto
lungo i sentieri modellati,
uno splendente e ridente labirinto
per il mio innamorato dai pesanti stivali.
Fino a che non mi afferrasse nell'ombra
e i bottoni del suo giustacuore premerebbero
nell'abbraccio il mio corpo,
che dolora, che si scioglie, che non ha paura….

Amy Lowell (1874-1925)
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Il vero amore non lascia tracce (Leonard Cohen)

Come la bruma non lascia sfregi
Sul verde cupo della collina
Così il mio corpo non lascia sfregi
Su di te e non lo farà mai
Oltre le finestre nel buio
I bambini vengono, i bambini vanno
Come frecce senza bersaglio
Come manette fatte di neve
Il vero amore non lascia tracce
Se tu e io siamo una cosa sola
Si perde nei nostri abbracci
Come stelle contro il sole
Come una foglia cadente può restare
Un momento nell'aria
Così come la tua testa sul mio petto
Così la mia mano sui tuoi capelli
E molte notti resistono
Senza una luna, senza una stella
Così resisteremo noi
Quando uno dei due sarà via, lontano

Leonard Cohen (1934)
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