Didone

{mosimage}E' ricordata dalla tradizione come figlia di Bèlo, re di Tiro e moglie
di Sichèo che le fu ucciso dal fratello di lei, Pigmalione, avido delle
ricchezze del cognato. La vedova rimase all'oscuro di questo delitto,
finché le apparve l'ombra del marito a chiarirla di tutto.

Destatasi, nascose pel momento il suo giusto
sdegno verso il fratello omicida; ma, riuscita ad assicurarsi l'aiuto
dei suoi sudditi, recuperò le ricchezze del marito, non solo ma si
prese anche quelle di Pigmalione; dopo di che, parti, accompagnata dai
suoi fedeli; e, nel viaggio, raccolse nell'isola di Cipro cinquanta
giovani donne destinandole a quelli che l'avevano seguita.
Didone prese, in seguito, terra sulle coste dell'Africa, dove dal re
Iarba comprò tanto terreno quanto potesse essere circondato dalla pelle
d'un bue. Essa, però, scaltramente, tagliò prima la pelle in liste così
sottili che, unite pei loro capi, le concessero una periferia
estesissima, nella quale fece costruire Cartagine.
Iarba, allora, ammirato, la chiese per moglie, minacciandole guerra se
l'avesse respinto: ma Didone, per non venir meno alla promessa fatta a
Sichèo di restargli fedele, si uccise con un colpo di pugnale. Su
questo fondamento già leggendario, la fervida fantasia di Virgilio, con
una felicissima contaminazione, ricamò l'episodio dell'amore di Didone
per Enea, sbalzato da una tempesta sulle coste dell'Africa; creando
così, una figura femminile capace d'una profonda e delicata passione
che, delusa, si conchiuse nel suicidio. Ad ordine le sottili fila
dell'avventura avrebbero direttamente concorso, da una parte Giunone –
implacabile nemica dei Troiani in genere e di Enea in specie, che essa
non avrebbe voluto facesse rivivere in Italia il glorioso germe di
Troia – e dall'altra Venere, madre d'Enea, desiderosa che il figlio si
riposasse, prima di continuare il pericoloso viaggio voluto dal Fato: e
chi ci andò di mezzo sarebbe stata la povera Didone la quale avrebbe,
naturalmente, voluto che Enea rimanesse sempre con lei.
L'Enea virgiliano, veramente, sembrava fosse anche disposto a lasciare
andare in fumo i grandi destini che gli aveva promesso il Fato: ma
Giove gli spedì il solito Mercurio per richiamarlo al dovere e imporgli
di riprendere subito il mare: e allora egli dovette obbedire ed
abbandonare, non senza un sincero rimorso, Didone la quale, disperata,
in vista delle navi troiane che salpavano da Cartagine, fece innalzare
un rogo sul lido, vi sali, e mentre si levava la fiamma, si trafisse il
cuore.

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L'opera venne commissionata al pittore Giovanni Francesco
Barbieri, detto il Guercino, dal Cardinale Bernardino per la Regina di
Francia Maria de' Medici e acquistata da lui stesso per 400 scudi nel
1631, dopo che la Regina dovette rifugiarsi in Belgio per motivi
politici.
L'episodio è narrato nell'Eneide (IV, 642-705): fallito ogni
tentativo di convincere Enea a non partire, Didone chiese alla sorella
Anna di preparare un rogo nel cortile del palazzo con la scusa di
bruciare le cose del suo amato. Non appena vide partire le navi
troiane, si gettò ella stessa sul rogo e si trafisse con la spada di
Enea.
Attorno a lei le ancelle piangono, mentre la sorella,
riccamente abbigliata, apre le braccia in segno di dolore. Sullo sfondo
le navi di Enea abbandonano la costa mentre Cupido si allontana. A
destra un personaggio dal cappello piumato e spadone indica la scena
allo spettatore come se fosse una rappresentazione teatrale.

Quando, più tardi, Enea scenderà all'Inferno per trovarvi il padre
Anchise, Virgilio fa che Enea intraveda, tra le ombre, quella di Didone
e cerchi di avvicinarla: ma l'ombra si scosta da lui, senza una parola,
e dilegua, ravvicinandosi all'ombra del marito Sichèo. Nel campo della
leggenda, Virgilio si muove liberamente, seguendo l'ispirazione della
propria altissima fantasia d'uomo e di poeta; e non c'è proprio nulla
da ridire, anche se si debba considerare che la più vecchia tradizione
faceva, invece, risalire la fondazione di Cartagine a circa trecento
anni dopo l'incendio di Troia.
Ma, nell'Eneide, Virgilio, cantore insuperabile della tradizione
romana, voleva evidentemente adombrare con l'episodio di Enea e di
Didone, quasi profeticamente, le guerre che Roma avrebbe, poi, avuto
con Cartagine, facendole poeticamente risalire alle parole di Didone,
nel suo congedo dall'infido Enea, nelle quali la povera tradita si
augurava che tra il suo popolo e quello di Enea non fosse mai pace, per
l'avvenire.

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