Nessun pianeta che possegga il cielo (Leon Battista Alberti)

Nessun pianeta che possegga il cielo
mai potrà quel che non potette morte.
Stringonmi e' lacci, que' con che mia donna
già priva fe' di libertà mia vita,
quando qua giù ella lustrava al mondo
non men cogli occhi ch'or si faccia il sole.
Ardon le vive fiamme di quel sole
che spesso mi facean sprezzare il cielo,
poi che sì bella cosa vidi al mondo.
Vive el bel viso ancora, quel che morte
si crese aver privato d'ogni vita,
sol per farmi suggetto ad altra donna.


Quello angelico aspetto di mia donna

facea ristar a vagheggiarla il sole,

tanto gli piacque di vederlo in vita.

Però cercò d'averla seco in cielo.

Ebbela el ciel, ma non patì che morte

di tal tesoro mai privasse il mondo.

Onde s'i' cerco e' luoghi qui nel mondo

dove io solea onorar mia donna,

gli veggo ancor risprender, benché morte

spegnesse que' begli occhi onde uscì el sole

che scaldò prima me ch'ornasse il cielo

e vuol nutrir persin ch'io lasci vita.

Ancora il nome suo triunfa in vita,

e non è sazio di lodarla el mondo.

Son qui tra noi, non son seco nel cielo

li sguardi bei con che potea mie donna

far a gran sera rivenire il sole.

Pur questo tòr non ci potette morte.

Scritto ho nel cuor, persin che venne a morte,

ogni sembiante ch'ella porse in vita,

tal che mi avampa ove non lustra el sole,

e sento e veggo di chi è privo il mondo:

seguo chi fa fuggirmi ogni altra donna.

Ma non è poco amar chi sta nel cielo.

Veggo nel mondo chi è nascosto in cielo

e meco in vita chi me tolse morte;

e sotto il sol mi schifo ogni altra donna.


Leon Battista Alberti
(1404-1472)

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