Orme (Paolo Marenghi)

Nei miei ormai trentadue anni di vita avevo fatto di tutto, è per questo motivo che non mi scomposi più di tanto quando mi venne proposto dal basso e tarchiato prefetto di Föller un affare da non perdere.

Ero di passaggio in quel misero villaggio solo per caso, più a sud nelle terre soggette al volere dei duchi milanesi avevo avuto da ridire con persone per mia somma sfortuna molto influenti.

Giunto nelle montagne oltre il Ticino iniziai a capire che potevo mettere a riposo il mio frustino e gettare le tende, ero fuggito per tre giorni e due notti inseguito dagli sgherri del mio nemico e così non feci molto caso allo squallore del piccolo e misero villaggio, così vicino, ma allo stesso tempo così lontano dalla ricca Italia.

 

 

Vidi subito che la gente del posto non era molto ben disposta verso gli stranieri, ma a me personalmente non mi interessava più di tanto, al più avrei sostato una notte giusto per far riposare il cavallo.

Riuscii a carpire a difficoltà l’ubicazione dell’unica locanda del paese da una bambina dalle lunghe trecce rosse, ella parlava un dialetto tedesco mischiato forse col latino. Tutto sommato me la cavai bene, avevo avuto la fortuna (si fa per dire) di essere stato collega d’arma di molti mercenari prussiani, abili combattenti, un po’ troppo legati al denaro ma sicuramente validi guerrieri.

Ancor più fortunato fui quando entrai nella locanda, il nome non era molto raffinato, ma suggestivo "wolfspur", impronta di lupo. La sua ubicazione era tutt’altro che felice visto che si trovava a ridosso di una puzzolentissima stalla di bestiame bovino, anche la pregiatezza del legno usato per la costruzione lasciava perplessi, soprattutto perché tutt’intorno vi erano una decina di case (con tetti tanto lunghi e tanto spioventi da toccare quasi terra) la cui qualità era decisamente superiore.

"Probabilmente da queste parti non vi è modo di fare molti affari con i visitatori" pensai io ad alta voce proprio mentre varcavo la soglio affatto pulita della locanda che dentro appariva già meglio di come era fuori.

Fuori vi era un sole che spaccava le rocce, così che la penombra dell’interno mi rese cieco per alcuni istanti.

Non feci a tempo a completare la bestemmia che avevo in bocca che una risata profonda e famigliare mi gelò dal collo fin giù ai lombi affaticati da tanto cavalcare. Immediatamente appoggiai la mano buona sul mio rapier, dentro di me vi era ancora il timore di essere stato raggiunto dai miei aguzzini.

"Calmo straniero italiano, ti vedo affaticato e se non vado errando devi aver fatto molta strada" fece un tipo che appena iniziavo a delineare con la vista "conosci la mia lingua, come mai?" feci io iniziando ad allentare la presa dalla mai migliore amica.

"Sono di Lugano, e li si parla la tua e la mia lingua. Poi a causa di dissidi dovetti trasferirmi da queste parti, ma non si viveva male, almeno un tempo era così" fece l’uomo che agli occhi miei dimostrava non meno di cinquant’anni "non mi dire che il tuo signore impone tasse come i Visconti, avrebbe maggiori introiti a non mandare un esattore, per quello che potrebbe racimolare".

"Non mi riferivo a questo, ma non puoi capire. Vieni a sederti ad un tavolo, sarai stanco e se hai da pagare cibo e vino non te li nego di certo!" a tali parole mollai definitivamente il rapier e instizzito mi scrollai via da una spalla il mantello impolverato "ma certo che ho da pagare, potrei comprarti l’intera baracca, i signori per cui ho combattuto mi hanno sempre ricompensato bene" e mostrai un sacchetto pieno di monete.

A tale vista vidi l’anziano uomo dai lunghi baffi arrotolati all’insù correre verso quello che presumevo fosse la cucina borbottando qualcosa in tedesco. Era buffo, in fin dei conti la diffidenza del tizio non avrebbe dovuto farmi alcun che, del resto il mio ultimo contratto di lavoro era andato male e la dimostrazione stava nel fatto che mi trovavo in queste lande.

Ero già seduto e finalmente tranquillo al punto di poter spolverare le mie sudici vesti che ebbi finalmente motivo di sorridere. Si trattava probabilmente della figlia del ridicolo tizio che avevo appena conosciuto. Era graziosa, alta e snella con dei lunghi capelli biondi raccolti in due trecce arrotolate e degli splendidi occhi blu. Vestita come non ci si poteva aspettare dalle mie parti mi porse un vassoio con una grossa ciotola di carne in umido, un bel pezzo di pane, un altro vassoio di lenticchie, del buon formaggio, e naturalmente una bella bottiglia di vino rosso come credo in pochi sappiano apprezzare da queste parti.

La ragazza mi diede un furtivo sguardo, appoggiò il vassoio sul tavolo e fece per ritornare da dove era venuta, ma non glielo permisi. L’afferrai per un polso facendo attenzione a non farle male "fermati con me, forse conosci la mia lingua e ti assicuro che ho molte cose da raccontare".

La mia attenzione per la ragazza la convinse subito. Ella mi disse in un italiano impreciso e spesso balbuziente le seguenti parole "parlo tua lingua … mi interessi … mi siedo vicino a te".

"Misericordia divina" pensai io "non mi ci è voluto molto per convincerla. Da queste parti non si sta poi tanto male, aveva ragione il vecchio di Lugano".

Conversando delle mie imprese presto fui io ad ascoltare. Venni a sapere che in effetti la graziosa ragazza era figlia del vecchio di Lugano, e soprattutto che vi era una specie di flagello per gli abitanti del luogo.

Un grosso lupo dal pelo nerissimo da qualche tempo razziava il loro bestiame. Non riuscii a sapere con certezza se la bestia operava da un mese o da un anno, ma non mi interessava più di tanto. Quel che era importante è che gli abitanti del luogo avevano raccolto una forte somma in pezzi d’argento da dare in premio a chi avesse portato loro la testa del famelico lupo.

Di storie strane ne avevo sentite e ne avevo raccontate talmente tante che non mi meravigliai più di tanto quando la bella ragazza il cui nome era Helena mi disse che più di una volta il lupo aveva massacrato degli uomini, tra i quali un suo zio alto quasi due metri e possente come pochi in fatto di muscoli.

Dopo aver pagato con spreco il pranzo avuto chiesi se era possibile avere una stanza per la notte. Helena mi rispose che se ne sarebbe occupata personalmente, e io lasciai che lo facesse.

Il pomeriggio era già inoltrato e ritenni opportuno portare il cavallo nella stalla di un certo Franz che pur non capendo la mia lingua capì benissimo il linguaggio delle mie monete.

Rientrai nella locanda e con mia somma sorpresa vidi che l’ambiente si era popolato, oltre a numerosi uomini vi erano anche delle donne e qualche ragazzo. Mi guardarono tutti, e molti di loro si misero a parlocchiare o a ridere.

Non che me ne importasse di cosa stessero parlando ma mi venne naturale chiedere al locandiere l’oggetto del loro interesse nei miei confronti. "E’ che sei straniero, e da queste parti non capitano molti stranieri. Helena poi ha detto loro delle tue imprese e della tua forza di guerriero …".

Il baffuto amico non fece a tempo a finire le proprie parole che due uomini di circa quarant’anni mi si avvicinarono, uno di loro era quasi senza capelli, l’altro molto biondo e alto quasi come me sembrava molto forte nonostante l’età non più giovanile.

Borbottarono qualcosa nel loro stramaledetto dialetto germano al mio indirizzo. Già le vene delle braccia si gonfiavano quando ebbi la traduzione del compare locandiere "dicono che hanno un affare da proporre, un affare vantaggioso per un guerriero del tuo calibro".

"Continua" gli dissi io. E dopo altri incomprensibili dialoghi "è semplice, devi portare loro la testa di un lupo, un grosso lupo nero, è il flagello del bestiame e come puoi facilmente immaginare è il maggior sostentamento del nostro paese. In cambio avrai cento pezzi d’argento".
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Incrociai le braccia e diedi inizio alle trattative "se è così facile perché non lo avete accoppato voi. Mi sembra che i mezzi non vi manchino!"

E dopo la solita noiosa prassi linguistica "siamo pastori, non guerrieri. Tu invece hai combattuto e sei un esperto di armi. Sei l’uomo giusto".

Io inorgogliosito risposi "si, sono l’uomo giusto. Ma voglio cento ducati subito e altri cento alla consegna della testa della bestia o non se ne fa niente, e vi assicuro che vi faccio un prezzo di favore, sono abituato a ben altri compensi" e conclusi dandomi non poche arie.

Appena i due capirono la mia richiesta persero la calma che li aveva fin allora contraddistinti.

Penso che il locandiere evitò di eseguire una traduzione completa in quell’occasione, si limitò a dirmi "é un furto bello e buono, cento ducati o niente".

Io con aria disinteressata risposi "niente allora! Avete tutta la notte per pensarci io ora ho sonno. Voglio fare un bel bagno caldo e poi dormire".

Mi incamminai verso il piano superiore dove incontrai Helena che stava venendomi a cercare perché il bagno caldo era pronto.

Naturalmente non la lasciai andare via e quando fu nella stanza il bagno lo facemmo assieme. La tinozza era un poco piccola ma non mi dispiaceva stare appiccicato a quel meraviglioso corpo.

La femmina rimase nel mio letto per il resto della notte e devo ammettere che non vi è nulla di più rigenerante che fare l’amore tutta la notte, altro che le fatiche di un guerriero, è meglio riservare le proprie energie per queste battaglie.

Il mattino successivo venni svegliato molto presto, non era ancora l’alba quando sentii bussare. Avevo accanto la bella Helena ma non per questo avevo perso il mio scatto felino. Col mestiere che praticavo era essenziale avere sia il sonno leggero, sia i riflessi pronti.

In pochi secondi ero dietro la porta, con un pugnale in mano naturalmente. Cercai di capire in quanti fossero prima di rimembrare della sera precedente.

"Hanno accettato le tue condizioni, avrai ciò che vorrai a patto che ci liberi della bestia che infesta i nostri boschi!". Per dio, si trattava di quel panciuto del locandiere.

Mi misi una mano sulla fronte e poi mi girai indietro verso il letto a guardare sua figlia beata tra due guanciali. Mi sentii in imbarazzo e così gli risposi bruscamente "sarò giù tra qualche minuto, fatemi trovare i ducati e il patto è fatto!". Tuonai al punto che Helena quasi si svegliò.

Come promesso pochi istanti dopo fui nell’atrio della taverna, li mi furono consegnati i ducati e mi fu consigliato di armarmi come non mai. Mi fecero strani discorsi sulla natura diabolica del lupo a cui dovevo dare la caccia ma non ci feci molto caso.

In tutti i paese di tutta Europa i lupi erano visti come creature demoniache, portatrici di sventure e lutti.

Mi dissero inoltre che sarebbe stato inutile cercarlo durante il giorno, non che ne avessi l’intenzione, ma anche questo mi stupì, mi dissero inoltre di diffidare di qualsiasi uomo avessi incontrato durante la notte nei boschi, e di tenere d’occhio la luna che avrebbe fatto scattare la furia della bestia al suo apogeo.

Stanco di sentire tante chiacchiere afferrai ciò che più mi piaceva dalla cucina e mi diressi in camera dove avevo intenzione di fare colazione con la mia bella mica.

Da vero prepotente ottenni la fornitura di tutto ciò che reputavo necessario alla caccia, e naturalmente l’esclusiva per l’intera giornata della compagnia di Helena.

Il mio diritto di signoreggio lo imposi senza fatica, questa gente doveva avere una paura folle del lupo, perfino Helena si spaventò quando riuscii a farle capire delle mie intenzioni bellicose nei confronti della bestia che non avevo mai visto. Helena ebbe quasi una crisi isterica al punto che mi abbracciò supplicandomi di rinunciare all’impresa, o così credo perché nello stravolgere delle emozioni la ragazza disse quasi tutto in tedesco.

Non capivo che cosa avesse di così pericoloso un lupo, avevo combattuto decine di battaglie e lottato con i più valorosi guerrieri e mercenari del continente e me l’ero sempre cavata. La mia grande statura, quasi un metro e novanta, e i miei muscoli poderosi mi avevano sempre messo in condizione di superiorità fisica; poi con lo stocco me la cavavo egregiamente per non parlare poi del mio destriero che cavalcavo sempre perfettamente e da cui ero in grado di colpire anche con la balestra.

Giunto a circa un’ora dal crepuscolo ero pronto a partire per la caccia. Salutai Helena con un grosso bacio e con la promessa che sarei tornato presto. Agli altri presenti invece promisi la testa del lupo.

Col mio fedele destriero giunsi quando ormai la luce spariva ad una grossa roccia, non che non ce ne fossero altre attorno, ma quella era particolarmente alta e larga, inoltre concedeva un’ottima visuale del bosco sottostante.

Il sentiero che avevo preso da quel punto iniziava a farsi difficile per il mio compagno a quattro zampe e così decisi di fermarmi. Non avevo trovato che poche tracce sparse, e sarebbero potute appartenere forse ad un cane, ma non certamente ad un grosso lupo.

Prosegui a piedi lasciando il cavallo imbrigliato ad un albero, con me portai solo il mio rapier e la balestra, lasciando la grossa accetta con cui avevo intenzione di decapitare il lupo una volta ucciso alla sella del mio puledro.

Feci poco più di duecento metri quando giunsi in una radura, non vi erano grosse rocce, e da essa iniziai a notare che la luna stava crescendo rapidamente. Era a tutto tondo e malignamente brillante in un cielo non del tutto sereno, anzi sembrava che dovesse piovere da un momento all’altro.

Un fatto nuovo si presentava alla mia vista, delle tracce probabilmente risalenti al giorno prima erano ben chiare al centro della radura. Una cosa mi sconvolse non poco, parti delle tracce erano chiaramente umane, una parte invece non le riuscivo proprio a capire.

Sembravano quasi zampe di lupo, si riuscivano a distinguere gli artigli. Ma vi era qualcosa che non quadrava, era tremendamente grosse. I pastori mi avevano descritto un lupo grosso, ma a giudicare dalle impronte si trattava di qualcosa di enorme, qualcosa che superava di gran lunga ogni mia più fervida immaginazione.

A questo punto come se non bastasse mi feci più acuto che mai. Notai che la disposizione tra le impronte umane e quelle non ben definite avevano una certa continuità, inoltre la disposizione e l’inclinazione dell’impronta non umana sembrava quella comunque di un bipede. Iniziai a pensare seriamente che mi ero cacciato in un brutto guaio, e che era più saggio fare ritorno prima al cavallo e poi alla taverna.

Preso da una paura che non avevo mai provato prima, la paura dell’ignoto, la paura del non umano mi precipitai come un fulmine verso il mio cavallo. Ebbi fortuna a non cadere, e poi ebbi ancor più fortuna a non perdere il mio prezioso pugnale arabo che mi ero preso con tanta fatica dal suo padrone, il pugnale mi cadde, ma me ne accorsi, e subito lo recuperai.

Giunto al cavallo e sfogatomi con la corsa riflettei e ritenni che ero momentaneamente impazzito. Mi ero fatto suggestionare, sicuramente. "Quelle tracce hanno un’origine diversa da quella assegnatagli dalla mia immaginazione" pensai io sicuro di essermi sbagliato.

Mi appostai sulla grossa roccia dopo aver tratto alcuni lunghi respiri ed inizia ad osservare verso il basso, avevo posizionato alcune trappole con della carne fresca, e conoscendo l’olfatto raffinato dei lupi non avrebbe tardato a farsi vedere se si trovava in zona.
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Passò circa un’ora, una lunga ora di attesa che però diede il suo frutto, nonostante fossi sicuro di aver ben presente il posizionamento delle trappole venni colto impreparato quando sentii i guaiti di dolore e il ringhiare forsennato del lupo che cercavo.

Mi precipitai giù in direzione dei guaiti fulmineo e con gli occhi iniettati di sangue. Volevo chiudere la questione ed intascare la ricompensa nel più breve tempo possibile.

Giunsi alla trappola e vi vidi impigliato per il collo un bel lupo dal pelo in parte marrone ed in parte nero, era un esemplare grosso e molto robusto visto che era ancora vivo. Lo sventurato animale era riuscito ad interporre una zampa che gli si era sicuramente rotta, ma ciò gli aveva salvato il collo.

Immediatamente colpii la bestia con lo stocco, la mia lama gli si conficcò nel torace con precisione e forza. In quell’occasione non avevo riservato all’animale un trattamento peggiore di quello riservato ai miei avversari umani. La morte giunse rapida, dopo pochi spasmi la bestia non si muoveva più.

La osservai a lungo dopo aver placato la mia anima di guerriero lombardo. Ero quasi dispiaciuto per la bestia, in fin dei conti è nella sua natura uccidere per cibarsi, ma lo è anche in quella dell’uomo per cui non mi soffermai molto sui rimorsi della mia coscienza. L’unica cosa che non mi piaceva era uccidere in modo vile, quando si combatte con un altro guerriero si può anche finire per il filo della sua lama, ma il lupo in questione non aveva certo la possibilità di difendersi.

Presi la carcassa dell’animale e la portai con fatica fino al mio cavallo, sarebbe stato più saggio portare giù il cavallo, ma là la luce era migliore e visto che dovevo decapitare l’animale volevo farlo velocemente senza imprecare troppo.

Mi accingevo all’operazione di taglio quando udii un fruscio, era ancora lontano, ma lo udii benissimo. Nel silenzio della notte anche una foglia che cade si sente come fosse una grosso macigno.

Abbandonai l’impresa di decapitazione e mi misi in guardia con la balestra in una mano e col rapier nell’altra. Vidi avvicinarsi una figura strana. Si trattava di un uomo molto alto, forse più di me.

Era vestito in malo modo e con un cappuccio in testa.

Si stava avvicinando.

Cosa ci facesse a quell’ora della notte in una foresta senza alcuna attrattiva non lo sapevo proprio, ma visto che non sembrava avere con se armi gli imposi solamente di fermarsi e di motivare la sua presenza.

Che stupido che fui! Io parlai in italiano, e non mi capì di certo. Si tolse solamente il cappuccio di testa, era un giovane con lunghi capelli biondi. Da vicino potei constatare che era in effetti almeno cinque centimetri più alto di me, anche se aveva un fisico esile e dava l’impressione di essere molto forte.

Vedendo il suo stupore al mio parlare straniero pensai di parlargli in latino, ma i miei sospetti erano esatti, non era certamente un nobile, e nemmeno un ecclesiastico, per cui non mi rimase che spiaccicare qualche timida e pasticciata parola in tedesco.

Sembrava non capire nemmeno quelle parole, così mi feci capire con i gesti e le armi.

Sortii l’effetto desiderato nonostante la mia mancata padronanza della lingua.

L’uomo mi guardò dall’alto al basso e poi guardò il lupo che avevo appena ucciso, anche se non potevamo parlarci capii dai suoi occhi che mi odiava. Non mi disse nulla e continuò lungo il sentiero che portava alla radura che tanto mi aveva suggestionato. Per un attimo si voltò a guardare il cielo e quando si ripiegò ebbi l’impressione di vedere i suoi occhi come rossi.

Visto che se ne era andato senza troppi patemi decisi di sbrigarmi. Feci il taglio, ed infilai la testa del lupo in un sacco dopo averla spurgata del sangue. Raccolsi la mia roba e mi misi in sella. In quell’istante quasi non avevo più in mente quell’uomo che si era diretto verso la radura se non che volsi lo sguardo al cielo e vidi che la luna aveva raggiunto il suo élite.

Nuovamente un brivido freddo mi segnò giù lungo tutta la schiena, stetti un attimo in mobile fin che non udii uno spaventoso boato.

Ma che boato.

Si trattava di un ululato.

Un ululato contornato di un rabbioso ringhiare.

Il tutto proveniva dal sentiero imboccato dal gigante biondo.

Ma non solo, altro proveniva dal sentiero. Sentiti qualcuno, o per meglio dire qualcosa correre. Ebbi la sensazione di non riuscire a muovermi.

Ero ancora una volta in preda al panico, e come se non bastasse il mio cavalla era peggio che me.

Il povero animale avvertiva un pericolo imminente e non gli do torto se non poteva stare fermo. Poco alla volta il ringhiare si fece più forte, quasi assordante e diabolico.

Qualcosa però mi imponeva di non fuggire perché sarebbe stato inutile. Tremavo ed avevo il cuore a mille, ma non fu nulla fino a quando non vidi quell’essere spaventoso.

Era tremendamente alto ed aveva il corpo umano, ma non del tutto. Al posto della testa di un normale uomo vi era quella di una specie di lupo, ma era molto più tremenda.

Dalle grosse zanne colava molta bava. Mentre io freneticamente cercavo con la mano la balestra la cosa che avevo davanti fece uno di quei gesti che fanno gli uomini per far capire la propria superiorità all’avversario.

Dopo aver alzato una delle sue poderose braccia o per meglio dire zampe scorticò in profondità la corteccia di un poderoso abete con i suoi incredibili artigli.

Una zampata di quelle avrebbe potuto staccarmi senza complimenti la testa dal collo e mandarmi a cospetto del creatore.

Non so come, ma trovai il coraggio di gettare un dardo verso la creatura che ululò forte.

Ma non ululò per il dolore.

Neanche a dirlo sbagliai bersaglio. E il demone si preparava ad attaccare.

E mio dio come era pazza. Si scagliò verso di me e percorse i trenta metri che ci separavano in un paio di secondi.

Sembrava accecata dal dolore per la morte del lupo, ma forse si trattava solo di fame. fatto sta che mi si fece addosso in maniera incredibilmente violenta.

Il mio cavallo non voleva certamente stare li a farsi sbranare ma agitandosi fece in modo di impennarsi e finì per gettarsi tra le fauci dell’immonda creatura.

Io caddi a terra e sbattei forte una spalla. Avevo la vista appannata, ma fu ugualmente orribile vedere la fine che stava facendo il mio compagno di tante avventure.

Il mostro era accecato dalla bramosia di sangue e non si fermava neppure per prendere fiato, sempre che ne avesse avuto necessità.

Non ebbi molto da riflettere, presto si sarebbe accorto che al mio posto stava sbranando il mio cavallo ed allora sarebbero stati guai. Fuggire non era possibile visto lo scatto appena mostrato dal demone. Votato così al sacrificio decisi di dare il tutto per tutto, impugnai la mia ascia e mi gettai sull’animale.

La colpii furiosamente mirando al collo ma non arrivai a segno. Feci comunque molto danno alla sua spalla sinistra. Gli aprii un sbrego enorme da cui fuoriuscì un fiume di sangue che mi si riversò in massima parte sul volto; la puzza che emanava era disgustosa.

Oramai anche io ero accecato dalla furia, la colpii ancora ed ancora un’altra volta. Poi fu il turno della creatura che non smentì quanto avevo visto fino allora. Una sua zampata mi sibilò vicino alla testa e il risultato fu che il mio possente elmo si ritrovava pesantemente ammaccato ad una decina di metri di distanza.

Un mio nuovo colpo giunse finalmente al collo dell’animale. Un essere mortale sarebbe sicuramente morto. Ma quello che affrontavo era qualcosa di più. La reazione della cosa fu un tremendo ululato ed una zampata che mi disarmò dell’ascia.

Con l’ascia scaraventata lontano non mi restava che il rapier. Feci due passi indietro, ed ebbi appena il tempo di impugnare l’arma che il mostro mi si lancio contro. Feci forza con tutto ciò che avevo in corpo e riuscii a conficcare il mio spiedo nel suo corpo.

La bestia mostrò di accusare il colpo. La vidi barcollare all’indietro, ed ebbi almeno il tempo di riprendere fiato. Un attimo dopo non fu certo piacevole vedere il demone procede all’estrazione del mio spiedo. Ululati e versi inumani riempivano il silenzio della notte.

Il mostro si placò un attimo solo dopo aver estratto la lama dal proprio ventre. Mi fissò con uno sguardo gelido ed infernale.

Io ero terrorizzato. Non mi era mai capitato di incontrare un simile avversario, e vedendo che stava per attaccarmi nuovamente decisi li per li! Afferrai il mio magnifico pugnale arabo e lo lanciai verso il muso di quell’essere.

Ebbi una fortuna sfacciata, riuscii a colpire un occhio del mostro. Non credevo di poter sentire qualcosa di peggio dei versi fino allora fatti dalla creatura, ma ella si superò.

Intuii che la mia unica speranza era quella di riprendere l’ascia e di decapitare la bestia, forse così sarebbe morta. Riuscii ad avere in mano l’ascia proprio nel momento del nuovo attacco, il demone non era più lucido come prima, aveva perso molto sangue ed aveva la vista ridotta, se avesse vinto si sarebbe ricordato di me per sempre.

Diressi a casaccio la mia ascia senza prendere la mira, ero spossato e dovevo concentrarmi nell’apportare un colpo tremendo se volevo ottenere un piccolo risultato.

Il creatore fu con me, colpii esattamente dove avevo già colpito in precedenza. Vidi la bestia barcollarmi di fronte. Finalmente cadde a terra, ma non era finita. Dava ancora segni di vita.

Io furioso gli fui addosso e continuai a colpire e colpire finché le braccia mi cedettero. Le avevo staccato la testa dal collo, e a quanto appariva ai miei occhi la battaglia era finita ancora una volta in mio favore.

Subito dopo crollai a terra esausto proprio accanto all’animale e svenni. sarei morto dissanguato se non fosse stato per Helena.

Il suo coraggio e il suo amore per me la portò contro ogni logica a cercarmi. Non è esperta nel seguire le tracce, ma le urla e gli ululati che accompagnarono la lotta la guidarono bene.

Oggi ad un anno di distanza da quella notte sono ancora qui, in questo piccolo villaggio. Dove ho rinunciato alla vita di condottiero e ben ne sono felice. Ho sposato Helena che presto mi darà un figlio, spero soltanto di non svegliarmi una notte all’ululato di un lupo.

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