Tommaso d’Aquino

Tommaso d'AquinoTommaso dalla nobile famiglia dei conti d’Aquino nel 1225 a Roccasecca. Dopo aver ricevuto la sua prima educazione a Montecassino, studiò a Napoli, le arti liberali.
Entrato nell’Ordine dei Domenicani nella città partenopea studiò teologia alla scuola di Alberto Magno, prima a Parigi poi a Colonia. Tornato a Parigi conseguì i gradi accademici e vi insegnò fino al 1260. Tornò dunque in Italia e fu maestro della corte papale. In questi anni iniziò la sua lotta contro l’averroismo. A Napoli fu maestro di teologia nello Studio Generale. Nel 1274, mentre era in viaggio per il Concilio di Lione, si ammalò e morì a Fossanova ( tra Napoli e Roma).

 

 

La filosofia naturale e la teologia per Tommaso non sono discipline distinte. Per questo è illusione degli scolastici agostiniani che i misteri della fede possano essere dimostrati con "ragioni necessarie".
La verità di fede sono verità soprarazionali e quindi indimostrabili. Ma "soprarazionale" non vuol dire "antirazionale". La teoria di Averroè della doppia verità viene respinta da Tommaso: ciò che è necessario per la ragione è per lui assolutamente vero, tale cioè che l’opposto di esso è falso e impossibile.
Se dunque la fede insegnasse- come asseriscono gli averroisti- l’opposto della ragione, essa insegnerebbe il falso e l’impossibile. Due verità non possono essere ammesse. La verità è una soltanto.
Però secondo Tommaso, i due domini hanno parecchi punti in comune, infatti gli stessi misteri dell’ordine soprannaturale possono essere chiariti dalla ragione con analogie tratte dall’ordine della natura; e la ragione giova alla fede confutando le obiezioni degli avversari di essa.
In questo campo comune possono di fatto sorgere conflitti tra la ragione  e la fede, ma in questi casi si è certi che il torto è della ragione o meglio dell’uso scorretto che la filosofia ha fatto della ragione.
Il concetto di Dio e del suo rapporto col mondo, essendo comune alla filosofia e alla teologia, è il concetto principale della speculazione tomistica. L’esistenza e la natura di Dio non sono semplicemente oggetto di fede, come pensano coloro che affermano che una dimostrazione di  esse non sia possibile.
Né esse si presentano alla coscienza umana, con una così immediata evidenza da rendere superflua qualsiasi dimostrazione. Per Tommaso ogni conoscenza di Dio è preclusa all’uomo; ciò che è necessario è conoscere Dio.
Si può dimostrarlo partendo dall’esperienza sensoriale senza alcun presupposto fideistico e teologico. Vi sono le prove che tendono a dimostrare che esso non può essere spiegato se non ammettendo Dio come creatore del mondo.

  1. l’esistenza del movimento
  2. la connessione causale dei fatti particolari;
  3. la contingenza delle cose;
  4. il vario graduarsi delle perfezioni negli esseri;
  5. l’ordinamento teleologico del mondo.

Da ciò noi risaliamo a Dio come Motore Immobile, Causa Prima, Essere Necessario, Perfezione assoluta, Intelligenza ordinatrice. Sono queste le cinque vie per la dimostrazione di Dio. La determinazione del rapporto tra Dio e il mondo, è per Tommaso, la contingenza di questo.
Egli vuole evitare il pericolo panteistico2 incluso in ogni dottrina che ponga come necessaria all’essere di Dio l’esistenza del mondo, le essenze delle cose sono in Dio, ma l’esistenza di loro non è contenuta in esse, è bensì dovuta ad un atto volontario di Dio.
L’essenza è la semplice possibilità di esistere, l’esistenza è l’essere in atto.
In Dio, nel quale non è ammissibile alcuna potenza- poiché Egli è Atto Puro- essenza ed esistenza coincidono.
Ma per gli esseri finiti, mentre le essenze loro sono tutte nel Verbo divino, il passaggio all’esistenza è dovuto all’atto creativo di Dio.
In questo modo tutte la creature partecipano all’essere di Dio, e in questo senso si può anche parlare di presenza di Dio in tutte le cose. Dio, creatore è anche Provvidenza; agisce direttamente sul  mondo. E grazie a questo nessuno degli individui sfugge al suo sapere e ai disegni che Egli viene attuando nel corso del mondo.
Gli esseri che formano il mondo, proprio perché sono tutti contingenti, includono tutti la distinzione aristotelica tra potenza ed atto ( la potenza è possibilità di essere da cui sono usciti tutti nel passare all’atto, ovvero nel ricevere l’esistenza); ma non implicano tutti la distinzione tra materia e forma.
Questa ultima distinzione vale però solo per le sostanze corporee. In queste poi la forma è data dalla essenza specifica universale, mentre il principio di individuazione, ovvero ciò che distingue un individuo da un altro della stessa specie, è dato dalla "materia segnata" che significa materia determinata nello spazio e nel tempo, cioè quel tanto di materia che è necessario e sufficiente a costituire "questo "individuo qui e non un altro.
Le sostanze spirituali invece sono "forme separate" cioè esistenti indipendentemente da ogni connessione contro la materia: e per esse ogni specie è un individuo a sé, non vi è una molteplicità di individui appartenenti ad una medesima specie. Tali sono Dio e le sostanze angeliche.

A proposito dell’uomo, Tommaso riconosce alcune difficoltà. Da una parte l’uomo in quanto essere ragionevole ovvero avente intelletto, è sostanza spirituale, dall’altra, in quanto essere animale, è un organismo corporeo, il cui principio informativo è dato da un’anima vegetativa e sensitiva. Se l’intelletto è sostanza spirituale, ne risulterebbe che vi è un unico intelletto per tutta l’umanità, ma ciò è impossibile per diverse ragioni:

  • Perché ciò è contrario alla credenza dell’immortalità dell’anima individuale;
  • Perché gli individui non sarebbero allora, essi, soggetti intelligenti, ma semplici organi recettivi di quell’unico oggetto trascendente.

Dunque l’intelletto non può disgiungersi dall’anima che informa il corpo: esso è intrinseco al soggetto, e ve ne sono tanti quanti sono i soggetti umani.
Per Tommaso l’intelletto o anima razionale è la sola forma ossia l’unico principio informativo di tutta la vita psichica nella molteplicità delle sue funzioni, compresa quella vegetativa e sensitiva.
Vi è una unione sostanziale di anima e di corpo: è il composto di anima e di corpo  che è ed agisce. Naturalmente l’anima non può sussistere solo in connessione col corpo: il fatto che il suo formarsi sia dovuto a Dio e non alla natura materiale e il fatto che essa, con la sua funzione dell’intendere, sovrasti il corpo per dignità e forza, le assicurano le possibilità di persistere separata da esso. L’uomo è dunque composto da anima e corpo. La conoscenza umana è dunque un processo di soggettivazione dell’oggetto ovvero è dematerializzazione di esso, cosi spiegata:

  • Nella sensazione l’oggetto accoglie in se la forma o specie sensibile dell’oggetto ma senza la materia ( es. il colore dell’oro, ma non la materia dell’oro) : in questo modo il soggetto senziente e l’oggetto sentito vengono ad unificarsi nella specie sensibile;
  • Nell’intellezione si astrae dall’immagine sensibile la forma o specie intelligibile, in questo modo oggetto inteso e intelletto si unificano nell’universale intelligibile.

In questo attuarsi dell’universale per opera del soggetto consiste l’intendere, che ha due gradi:

  1. L’apprensione, con cui l’intelletto accoglie in se la forma intelligibile astratta, ma nella sua unità indifferenziata;
  2. Il giudizio, con cui l’intelletto risolve l’essenza appresa nei suoi elementi e afferma per mezzo del predicato quello che il soggetto contiene di essere. In questo grado dell’intendere ha luogo la distinzione tra verità e falsità.

La volontà è alla dipendenza dell’intelletto dal quale riceve la nozione dei "beni" cui essa aspira. Se l’intelletto potesse dare al volere dell’intuizione del Bene Assoluto (Dio), il volere aderirebbe necessariamente ad esso: ma poiché nella vita attuale noi non apprendiamo che beni parziali, la volontà gode di una libertà di scelta tra essi. La decisione di volere non è razionale se non è giustificata, e la giustificazione deriva da certi principi pratici evidenti che vengono riconosciuti dalla " coscienza morale". Questi principi formano per noi la "legge naturale" che è , manifestazione in noi della legge di Dio, ma la validità pratica è indipendente dalla conoscenza di essa. L’abituale e consapevole osservanza della legge naturale è la virtù.

Opere

Tra le sue opere ricordiamo: I "Commenti" ai Quattro libri delle sentenze di Pietro Lombardo ; alla Logica, Fisica Etica e Metafisica di Aristotele, allo Pseudo-Dionigi, alla Scrittura; le due " Somme": La Summa contro gentiles,fondata prevalentemente su dimostrazioni razionali; la Summa teologica; le Questioni e diversi opuscoli, tra cui il De unitate intellectus contra averroistas.

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