Adolf Hitler (parte 2)

Adolf Hitler, il cui nome rievoca funesti fatti e disgrazie immense ha segnato con il suo agire un secolo, quello trascorso in maniera indelebile. I sopravvissuti a quegli anni diventano sempre meno per questioni cronologiche, ma nessuno deve dimenticare questa storia così vicina nel tempo e così lontana nei nostri interessi. Primo di una serie di lunghi articoli dedicati alla prima metà del XX secolo vi introduciamo quì la figura di Adolf Hitler.

 

 

Franz PapenIn linea di massima la situazione al Reichstag rimaneva praticamente immutata. Solo i socialdemocratici persero effettivamente molti voti e i loro seggi scesero a 121. La situazione si fece precaria per Papen. Anche se il suo partito aveva incrementato la sua forza alle nuove elezioni, quasi il 90% della popolazione rimaneva contraria al suo gabinetto. Il cancelliere decise quindi di presentare le proprie dimissioni pur rimanendo in carica fino alla nomina del suo successore. Hindenburg cercò comunque di far cambiare idea a Papen cercando di formare una coalizione che potesse ottenere la maggioranza al Reichstag. Con molto ottimismo contattò Hitler su una sua possibile partecipazione al gabinetto Papen. Ovviamente non ci fu alcun accordo perché Hitler pretese, persistendo nella sua linea del tutto o niente, che la carica di cancelliere venisse affidata a lui. Assicurò anche al presidente che avrebbe pensato a cercare la collaborazione di altri partiti per appoggiare la sua candidatura. Hindenburg, offeso da simili richieste, rispose che gli avrebbe concesso tre giorni per cercare degli alleati che lo sostenessero in un governo parlamentare. In più si riservò il diritto di scegliere personalmente i ministri degli Esteri e della Difesa. Erano condizioni impossibili.
I due ministeri su cui il presidente aveva messo il proprio veto erano fra i più importanti. Inoltre tre giorni non sarebbero mai bastati per riuscire a discutere qualsiasi genere di accordi con altri partiti. Hitler, temendo che Hindenburg mirasse a screditarlo davanti al popolo dandogli un’opportunità di arrivare al potere che lui non sarebbe mai riuscito a sfruttare, rifiutò. Papen si dimostrò quindi pronto ad accettare nuovamente l’incarico nonostante la sua popolarità fosse in continuo ribasso. Nei pochi mesi in cui era stato al potere non aveva certo contribuito a favorirsi il favore della massa. Anzi, le sue manovre economiche ebbero il risultato di aggravare la situazione disastrosa in cui milioni di tedeschi si trovavano, aumentando anche il numero dei disoccupati. La sua scarsa abilità politica era ormai chiara a tutti e il governo, che doveva poggiare sui continui decreti speciali di Hindenburg, appariva agli occhi di molti quasi come una dittatura. L’unico risultato di una nuova riunione della camera sarebbe stato un altro voto di sfiducia. Schleicher capì subito quanto stava succedendo. Uomo di intrighi, molto abile a muoversi nell’ombra per ottenere i suoi scopi, non era affatto soddisfatto del lavoro compiuto da Papen. Aveva appoggiato la sua nomina sperando di avvalersi di lui come uno strumento per i propri obiettivi ma una volta al potere Papen aveva dimostrato un’indipendenza notevole nei suoi confronti, acquistando sempre più fiducia in sé stesso. In più il cancelliere era anche diventato un buon amico del presidente ed era tenuto da quest’ultimo in grande considerazione. Schleicher decise di intervenire direttamente per cambiare il corso degli eventi. Intuì che lasciando Papen in carica le forze politiche del paese si sarebbero riunite contro il governo. Il rischio era la guerra civile e la Germania, attraversando un momento così critico, ne sarebbe uscita distrutta. Poco prima delle elezioni un accordo tra nazisti e comunisti riguardo a uno sciopero dei trasporti a Berlino era bastato a paralizzare la capitale.

Ora c’era il rischio di una paralisi totale i cui effetti si sarebbero fatti sentire subito sull’economia del paese. Scheleicher incominciò così a dissociarsi dalle scelte politiche di Papen per mettere in atto il suo piano. Dichiarò, forte di uno studio del suo ministero della difesa, che in caso di guerra civile l’esercito non sarebbe mai riuscito ad opporsi alle truppe paramilitari di nazisti e comunisti. Con questo stratagemma riuscì a togliere al cancelliere l’appoggio del gabinetto ingraziandosi nel frattempo Hindenburg riguardo ad una sua possibile candidatura alla cancelleria. Papen si dimostrò ancora debole di carattere ed esasperato dalla pressione che la situazione comportava presentò le sue dimissioni al presidente che, riluttante, le accettò. Il giorno seguente la carica di cancelliere passò nelle mani di Schleicher, l’ultimo a detenerla prima dell’avvento di Hitler.

Kurt von Schleicher era una figura nota nell’ambiente politico tedesco ma non aveva mai svolto ruoli di primo piano, se si esclude i pochi mesi di ministero sotto il governo Papen. Abile oratore riusciva facilmente durante un discorso ad influenzare le opinioni degli altri avvicinandole alle sue. Da molti veniva considerato un freddo opportunista disposto a tutto pur di migliorare la propria posizione. Queste tesi venivano avvalorate dai molti voltafaccia fatti da Schleicher, anche a persone che gli erano vicine, per non mettere in pericolo il proprio status. In realtà il nuovo cancelliere non era altro che un militare convinto. Non gli interessava una restaurazione della monarchia ma si adattò alla situazione esistente. Per lui l’esercito doveva servire da garante al governo per mantenere il controllo dello stato e la sicurezza tedesca nei confronti dei paesi confinanti.

Schleicher, appena conquistato il potere, si trovò di fronte al solito problema di ottenere una maggioranza in parlamento che evitasse un voto di sfiducia. La scelta del neo cancelliere ricadde sui nazisti. Con i loro 196 deputati erano la forza di maggior peso nel Reichstag ed ottenere il loro appoggio sarebbe stato un significativo passo in avanti verso un governo più stabile. Ben conscio che qualsiasi trattativa diretta con Hitler sarebbe risultata infruttuosa Schleicher rivolse la sua attenzione su Gregor Strasser. Secondo per importanza solo ad Hitler nel partito, veniva considerato da tutti un politico meno radicale e con un maggior senso pratico per gli affari, essendo stato un farmacista. Ma ciò che faceva di Strasser la pedina giusta per gli scopi di Schleicher era la sua grande capacità di valutare i fatti in modo molto realistico. Il numero due nazista non era per nulla soddisfatto della lina politica del tutto o niente di Hitler e capì subito dopo le elezioni di novembre che non sarebbero mai riusciti ad ottenere il potere attraverso una maggioranza diretta in parlamento. Dalle elezioni svoltesi a luglio era stato perso molto terreno e Strasser si rammaricava che Hitler continuasse a non accettare almeno una fetta di potere fintanto che i nazisti potevano contare su un appoggio delle masse ancora elevato. Ulteriori elezioni avrebbero avuto il solo effetto di peggiorare la situazione e di far crollare il morale tra le file naziste.

 

Schleicher e Strasser si incontrarono in segreto il 4 dicembre per discutere della situazione. Purtroppo la loro conversazione rimarrà un mistero perché nessuno dei due ha lasciato alcuna testimonianza. Nonostante le precauzioni prese, Hitler venne a sapere della trattativa e il giorno seguente durante un vertice dei leader nazisti all’Hotel Kaiserhof, sede berlinese del partito, Strasser espose i suoi timori al suo diretto superiore. Se il parlamento si fosse sciolto i nazisti non sarebbero stati in grado di reggere ad una ulteriore campagna elettore ed avrebbero subito altre pesanti perdite. Hitler stroncò senza mezzi termini le argomentazioni di Strasser, accusandolo di tradimento. Decise anche di ribadire la propria leadership nel partito tenendo un discorso ai suoi deputati. Davanti a quasi duecento persone ribadì che scendere a compromessi avrebbe significato tradire l’onore del loro movimento. Il potere sarebbe stato raggiunto senza nessuna alleanza e solo quando sarebbe stato lui stesso ad ottenere la carica di cancelliere. Alla fine dell’orazione i deputati si piegarono alla volontà di Hitler ed alla sua linea politica di assoluta opposizione. Il Fuhrer pensava di aver risolto ogni dissidio all’interno del suo partito quando l’otto dicembre ricevette una lettera che lo fece tremare. Strasser dava le sue dimissioni da capo dell’apparato organizzativo del partito. Le cause, scrisse, che lo portarono ad un simile gesto erano da ricercarsi nelle continue intromissioni di Hitler nel suo lavoro, che non gli avevano permesso di esercitare liberamente il proprio compito amministrativo sulle unità regionali naziste.
In realtà il motivo di un simile distacco è molto più semplice: Strasser non era più disposto a seguire la linea politica del tutto o niente di Hitler che equivaleva ad una sfida contro il destino. La lettera veniva chiusa, nonostante tutto, con una frase rassicurante: "come sempre, tuo devoto". Hitler rimase paralizzato dalla paura. Riusciva bene ad immaginare cosa avrebbe potuto scatenare un simile gesto. Temeva che durante l’incontro di pochi giorni prima Schleicher avesse offerto a Strasser la carica di vice-cancelliere nel suo gabinetto. Se il numero due nazista avesse accettato, il partito si sarebbe rotto in due parti spazzando quell’unità che da sempre contraddistingueva i nazisti. Inoltre il suo ex luogotenente aveva anche una grande influenza nei Gau (distretti) del nord e molti deputati sarebbero stati disposti a seguirlo. Hitler passeggiò per ore per il proprio studio in preda al terrore che simili eventualità si potessero realizzare. Improvvisamente perse la fiducia in se stesso, la convinzione di essere l’uomo inviato dal destino per risollevare le sorti della Germania. "Se il partito dovesse sgretolarsi" disse a Joseph Goebbels "terrò fede alla mia promessa e mi finirò con un colpo di pistola". Durante il lungo discorso ai suoi seguaci tenuto pochi giorni prima, aveva minacciato che in caso di disobbedienza di uno qualsiasi dei suoi collaboratori si sarebbe suicidato. Per fortuna di Hitler non ci furono altre defezioni. Per coprire l’assenza di Strasser, che nella sua lettera aveva annunciato di partire per una vacanza, Hitler dichiarò ai giornalisti di avergli concesso una licenza di qualche settimana per malattia. Anche se la crisi si era risolta nel migliore dei modi essa dimostrava che il partito nazista stava perdendo la sua compattezza. Il potere appariva sempre più lontano, sicuramente più di quanto non fosse pochi mesi prima quando il potere contrattuale di Hitler era ai massimi livelli. La fine dell’anno 1932 vedeva quindi il partito nazionalsocialista vacillare per colpa di una strategia politica errata dovuta al carattere del suo leader. La vera svolta che cambiò le sorti della Germania e del mondo intero non sarà merito di Hitler, della sua bravura in campo politico, della sua capacità di infiammare le folle sfruttando la situazione disperata in cui verteva la Germania. Il potere giungerà nelle mani del Fuhrer dopo un mese, quello del gennaio 1933, di intrighi e complotti in cui Hitler avrà solo un ruolo di secondo piano. Sarà il succedersi degli eventi, inaspettati per lo stesso leader nazista, a consegnarli la cancelleria su un piatto d’argento, proprio nel momento di maggior difficoltà per il suo partito.

Il 1932 terminava quindi lasciando la Germania in una situazione politica ancora confusa, non certo migliore di quella degli ultimi anni. L’unico aspetto positivo era la lenta ma pur sempre graduale ricrescita economica. Il valore di azioni ed obbligazioni erano in netto rialzo, quasi del 30%. La disoccupazione era leggermente diminuita anche se rimaneva ancora di diversi milioni di persone. Tutto ciò andava ovviamente a discapito della politica estremista nazista che puntava molto sulla sfiducia dei cittadini dovuta alla depressione economica. Agli inizi di gennaio 1933 Hitler rimaneva comunque la persona di maggior rilievo in ambito politico e il suo partito, nonostante i rovesci dell’anno precedente, contava il maggior numero di rappresentanti al Reichstag. La fiducia nelle sue capacità erano intatte nonostante il "tradimento" di Strasser ed egli si considerava ancora l’uomo inviato dal destino per creare una nuova Germania, forte e potente. La sua era una missione quasi "divina" e il potere assoluto stava alla base del suo progetto. Solo così avrebbe potuto trascinare la nazione verso una nuova alba di grandezza. La divisione del potere avrebbe solo creato degli intralci, dei rallentamenti al compimento dei suoi piani. La Germania si sarebbe riscattata ad est occupando, usando le stesse parole di Hitler, uno "spazio vitale" ai danni dell’Unione Sovietica, degli odiati bolscevichi.
Il successo era garantito dalla convinzione della superiorità della razza ariana nei confronti delle altre. Il Fuhrer infatti credeva fermamente nella divisione dell’umanità in diverse etnie costantemente in lotta tra di loro. Il diritto alla sopravvivenza spettava solo al vincitore di questa lotta che agli occhi di Hitler erano ovviamente i tedeschi. I popoli non ariani andavano semplicemente distrutti senza pietà e al primo posto della lista c’erano gli ebrei che si erano amalgamati con il resto della società tedesca, occupando posizioni di rilievo e minando la sua solidità e compattezza. L’ultimo elemento contro cui il dittatore si scagliò durante tutta la sua carriera politica era il marxismo che divideva il popolo in diverse classi in lotta contro di loro. La Germania avrebbe potuto uscire dalla grave crisi in cui era caduta solo risolvendo questi problemi sotto la sua guida. L’obiettivo era un Reich millenario libero dalle etnie impure che avrebbe dovuto dominare su tutta l’Europa. Lo sviluppo sarebbe stato garantito dalle inesauribili risorse sottratte all’Unione Sovietica, l’unico vero ostacolo che Hitler frapponeva tra sé ed il dominio totale. Questa ideologia, praticamente un credo, si poteva trovare nel "Mein Kampf", quasi una Bibbia per i nazisti. Ma gli avversari politici sottovalutarono la portata delle mire di Hitler. Il dittatore evitava di trattare degli elementi più estremi della sua ideologia in pubblico. Sapeva moderare con incredibile abilità il contenuto dei suoi discorsi ed il suo lessico adattandoli alle esigenze dei suoi interlocutori.
Con i suoi "fedeli" parlava apertamente dei suoi progetti per la Germania dopo la conquista del potere. Con il popolo manteneva un atteggiamento molto più moderato. Parlava certamente degli ebrei come razza inferiore colpevole delle disgrazie tedesche, condannava i comunisti ed i loro atteggiamenti ma non trattava mai dei suoi progetti di guerra totale che avrebbe attuato una volta ottenuto il potere assoluto. Gli altri politici lo consideravano per lo più un esagitato, che sarebbe crollato tanto velocemente come era nato. Molti lo considerarono uno strumento quasi inoffensivo per i propri fini. Pochi lo temettero davvero comprendendo la sconfinatezza dei suoi obiettivi. Quasi nessuno aveva letto il "Mein Kampf", in pratica la confessione dei suoi ideali, considerando la lettura del libro una inutile perdita di tempo. Hitler, dopo il fallito tentativo di rovesciare la repubblica del 1923, aveva cambiato strategia decidendo di raggiungere il potere nel rispetto della costituzione e della democrazia. Evitò così di rendere noti alla popolazione i suoi ideali estremisti ed il suo acceso antisemitismo scagliandosi invece contro i repubblicani che avevano deciso l’armistizio nella guerra del 15-18 pugnalando così l’esercito tedesco alle spalle nonostante non fosse stato ancora del tutto sconfitto sul campo. Il trattato di Versailles rimaneva ancora una ferita aperta nell’orgoglio dei tedeschi, più che per le sanzioni economiche per il fatto che attribuiva l’intera responsabilità del conflitto alla Germania. Seguendo quindi una linea tutto sommato legale (pur con i molti interventi di stampo terroristico delle SA) Hitler era riuscito in circa otto anni a trasformare un minuscolo partito di destra nel più forte movimento politico tedesco. C’erano stati molti momenti difficili durante questo cammino ma Hitler non perse mai la fiducia in sé stesso, la concezione di essere l’uomo della provvidenza per una Germania ferita. Sarebbe riuscito a trasformare la realtà adattandola ai suoi ideali ed ai suoi progetti. La sua era quasi una visione messianica in cui non c’era spazio per una qualsiasi possibilità di insuccesso.

 

"Il 1933 sarà il nostro anno. Glielo posso mettere per iscritto" asserì Hitler alla festa di capodanno ad uno dei suoi maggiori sostenitori, Ernst Hanfstaengel. La lotta quindi continuava e il successo sarebbe presto arrivato. Bisognava comunque agire con prudenza perché il partito stava attraversando una fase difficile. Bisognava evitare che il governo Schleicher cadesse immediatamente perché le dissanguate risorse finanziare del partito non sarebbero riuscite a reggere ad un’altra estenuante campagna di propaganda per le elezioni. I deputati nazisti contribuirono quindi a bloccare un voto di sfiducia proposto da comunisti e socialdemocratici. La vera svolta che fece uscire Hitler da un vicolo cieco in cui lui stesso aveva voluto finire giunse il 4 gennaio. In gran segreto (anche il suo autista personale Otto Dietrich era all’oscuro di tutto) il Fuhrer si incontrò con l’ex cancelliere Franz von Papen.
L’obiettivo di quest’ultimo era chiero: riprendere il suo posto al governo vendicandosi di Schleicher che prima gli aveva consegnato il potere e poi glielo aveva sottratto. Papen propose ad Hitler di formare un governo nuovo appoggiato da una coalizione tra nazisti e conservatori e che si sarebbe servito dell’appoggio di Hindenburg e dei suoi speciali decreti. La proposta era allettante, anche se la divisione del potere non rientrava nei piani di Hitler. Bisognava però arrivare alla cancelleria prima che fossero indette nuove elezioni per evitare ulteriori perdite alle urne. Questo il Fuhrer lo sapeva bene e la chance che Papen gli offriva, se ben sfruttata, avrebbe potuto condurre ad ottimi risultati. Sapeva bene comunque che l’anziano Hindenburg si era sempre opposto ad un suo gabinetto ma sperava di riuscire a sfruttare l’influenza di Papen sul presidente ai propri fini. Su questo importante fattore si basava la strategia del nuovo alleato di Hitler: l’avversione di Hindenburg verso il leader nazista gli avrebbe permesso di ritornare cancelliere contando sull’appoggio dei deputati nazisti. Papen promise che avrebbe nominato due nazisti ai ministeri degli interni e della difesa, due posizioni di rilievo che avrebbero dato al partito nazionalsocialista il controllo delle forze armate.
Hitler
non era comunque disposto a ricoprire un ruolo di secondo piano e reclamava per sé la cancelleria forte del grande appoggio popolare di cui godeva. Alla fine non si decise niente ma i due politici decisero di reincontrarsi per continuare le trattative. Il giorno seguente la notizia dell’incontro appariva già su molti giornali berlinesi, nonostante le forti precauzioni prese da Hitler. I nazisti cercarono di sminuire l’importanza di un simile avvenimento e i due politici tedeschi affermarono di essersi incontrati solo per discutere della possibilità di un ampio fronte nazionalista. Schleicher non dette peso alla notizia pensando che Papen non avesse il coraggio di muoversi contro di lui. Il generale considerava il proprio ex protetto poco più che un fantoccio, incapace di ordire cospirazioni e impacciato nel difficile mondo politico tedesco. Ma Papen stava attuando un piano ben preciso ed era deciso ad andare fino in fondo. Si incontrò con Hindenburg riferendogli che Hitler era disposto ad appoggiare un gabinetto di coalizione assieme alle forze conservatrici. Il presidente intuì che una simile opportunità implicava la caduta di Schleicher poiché i nazisti non lo avrebbero mai appoggiato. Sarebbe stato Papen a dover ricoprire l’ambita carica di cancelliere, forte dell’appoggio del presidente.

Rilanciato dagli avvenimenti degli ultimi giorni Hitler si immerse completamente nella campagna elettorale nel Lippe, uno dei più piccoli stati federali che contava solo 100000 abitanti. Era il momento ideale per rilanciare la credibilità del partito: le dimensioni ridotte del territorio rendevano possibile una intensa campagna elettorale che non avrebbe pesato troppo sulle risorse finanziarie naziste, ormai agli sgoccioli. Tra il 4 e il 15 gennaio, giorno delle elezioni, Hitler tenne quindici discorsi e altri importanti esponenti nazionalsocialisti completarono l’opera di propaganda con 23 comizi. Bisognava sfatare l’impressione ormai diffusa che il nazionalsocialismo fosse in declino e che presto sarebbe crollato. Un’altra sconfitta alle urne sarebbe stata fatale ma la sorte giocò ancora una volta a favore dei nazisti. Il Lippe era l’ideale per rilanciare il partito e Hitler lo sapeva bene. Le dimensioni ridotte del territorio permettevano di sostenere una campagna di propaganda senza precedenti con discorsi giornalieri in tutto lo stato. La popolazione era costituita per lo più da protestanti, il 95% circa, che vivevano per lo più in campagna. Il partito nazista non aveva mai riscosso molti consensi nelle zone altamente industrializzate la cui popolazione votava solitamente o per i socialdemocratici o per i comunisti.
Nel Lippe le fabbriche erano quasi inesistenti e le poche che c’erano erano piccole aziende che producevano mobili. I nazisti contribuirono a rendere più imponente la loro campagna elettorale facendo affluire nel minuscolo stato migliaia di SA dalle regioni circostanti. Ai discorsi le camicie brune contribuivano ad accrescere la spettacolarità con inni entusiastici e applausi scroscianti. I raduni erano di una pomposità quasi sconcertante, soprattutto se paragonati a quelli degli altri partiti. Hitler puntava molto sull’effetto scenografico per accendere gli animi dei suoi interlocutori. Le SA incominciavano ad intrattenere il pubblico circa un’ora prima del comizio suonando inni marziali e marciando per la città fino al luogo prestabilito per il raduno. Quindi si disponevano su due file creando tra di esse un corridoio in cui sarebbe passato l’oratore accolto con altre canzoni marziali che accrescevano l’importanza del suo arrivo. La strada verso il successo elettorale nel Lippe non era comunque tutta in discesa. L’ostacolo più grave era rappresentato dalle ormai esaurite casse del partito, provate dalle numerose elezioni dell’anno precedente (le due del Reichstag, le due presidenziali e le elezioni parlamentari per lo stato prussiano). Negli anni precedenti Hitler aveva potuto sempre contare su una grande disponibilità di denaro per finanziare la propaganda durante le elezioni. Nel periodo della scalata al potere, che aveva visto l’ascesa del partito nazista, le iscrizioni erano in rapido aumento e molti donavano anche più della quota prestabilita, sicuri che presto si sarebbe giunti al potere. I capovolgimenti degli ultimi mesi avevano invece fatto precipitare il numero delle iscrizioni. In molti smisero di pagare la propria quota presi dallo sconforto e dalla delusione per le ultime sconfitte. Anche i raduni, con il loro biglietto di ingresso più volte ridotto, non garantivano più una stabilità economica al partito. Hitler dovette finanziare la campagna del Lippe anche attraverso le proprie entrate personali sui diritti del suo Mein Kampf.

Mein Kampf, Adolf Hitler

 

Gli avversari politici di Hitler cercarono in tutti i modi di ostacolare i nazionalsocialisti screditandoli agli occhi della gente. In particolar modo puntavano il dito su una presunta "scissione" del partito ad opera di Gregor Strasser che secondo fonti bene informate stava tramando alle spalle del Fuhrer per entrare nel gabinetto Schleicher con il ruolo di vice cancelliere. Molti esponenti nazisti delusi dalla inconcludente strategia di Hitler simpatizzavano infatti per il suo ex luogotenente, considerato un politico più concreto e dinamico. I timori sembrarono concretizzarsi quando divenne pubblica la notizia dell’incontro tra Hindenburg e Strasser. Il 12 Goebbels scrisse nel suo diario: "Strasser sta complottando. È stato dal presidente. … Questo è quello che io chiamo un traditore. L’ho sempre pensato e Hitler ne è molto scosso". La situazione in effetti si stava facendo complicata e la tensione all’interno del partito si poteva tagliare con un coltello. Ad aggravare le cose lo stesso giorno apparve su un quotidiano regionale una lettera di un nazista dissidente che accusava il partito e i suoi più alti esponenti. Arrivare al potere passando per le urne era una strategia completamente sbagliata, scrisse con toni aspri e decisi. Ma soprattutto i funzionari del partito non erano in grado di adempiere ai loro compiti perché erano scelti non in base alle loro effettive qualità ma solo per la loro sottomissione ai massimi dirigenti. In pratica non erano altro che dei semplici esecutori di ordini. Goebbels si affrettò a sminuire la portata della denuncia affermando che si trattava di un caso isolato ma la compattezza nazista sembrava essersi sgretolata definitivamente.

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