Adolf Hitler (parte 3)

Adolf Hitler, il cui nome rievoca funesti fatti e disgrazie immense ha segnato con il suo agire un secolo, quello trascorso in maniera indelebile. I sopravvissuti a quegli anni diventano sempre meno per questioni cronologiche, ma nessuno deve dimenticare questa storia così vicina nel tempo e così lontana nei nostri interessi. Primo di una serie di lunghi articoli dedicati alla prima metà del XX secolo vi introduciamo quì la figura di Adolf Hitler.

 

 

I risultati premiarono comunque gli sforzi di Hitler, almeno in apparenza. Con il 39,5% dei voti era riuscito ad imporsi sugli altri partiti ed a conquistare la maggior parte dei 21 seggi dell’assemblea legislativa. Ma se non ci si ferma ad analizzare solo la superficie del risultato si può vedere come esso non sia stato poi così eccezionale. I nazisti non riuscirono a sconfiggere le forze di sinistra. Anzi, i socialdemocratici guadagnarono rispetto alle elezioni di novembre quasi del 3%. I voti in più che i nazisti ottennero furono sottratti al Partito nazionale tedesco che perse quasi il 4%. In definitiva il rapporto tra destra e sinistra rimaneva invariato ed in sostanziale equilibrio. L’aumento di consensi rispetto alle ultime elezioni per il Reichstag fu dovuto quasi esclusivamente alle incredibili risorse che Hitler profuse nella campagna elettorale. Un giornale cattolico scrisse: "Perché un simile incremento di voti? Perché nessun partito in Germania possiede o può impiegare così tanti soldi, così tanti oratori, così tante tende, auto e altoparlanti da eguagliare l’azione nazista nel Lippe in modo tale da sottoporre ogni circoscrizione elettorale alla stessa enorme pressione usata per assicurare un simile successo". Ma i nazisti urlavano comunque alla vittoria come un segnale di ripresa del partito. Il risultato era un evidente indice di gradimento del popolo che si era riaffiancato al partito nazista nella lotta contro il sistema repubblicano e il marxismo.

Hitler approfittò immediatamente della situazione per chiudere una volta per tutte il caso Strasser e ridare così solidità al suo partito. Tenne un discorse di tre ore ai Gauleiter difendendo con toni aspri e decisi la sua strategia politica che aveva portato al successo nel Lippe. Poi attaccò direttamente Strasser accusandolo di tradimento e rendendolo responsabile degli scarsi risultati ottenuti alla fine del 1932. Chi si fosse schierato con il traditore sarebbe stato disonorato per sempre. Tutti furono conquistati e giurarono nuovamente fedeltà ad Hitler. Goebbels era entusiasta: "Il caso è chiuso … tutti hanno abbandonato Strasser". In effetti il docile farmacista uscì definitivamente di scena.

Non si hanno prove che egli stesse realmente complottando contro il Fuhrer ed è difficile credere ad una simile ipotesi. A Strasser mancava infatti quello charme e quel carisma necessari per poter opporsi ad Hitler e vedeva ancora nel leader nazista l’unica figura nell’ambiente politico tedesco in grado di far risorgere la Germania. Decise quindi d’accordo con Goring di ritirarsi per due anni dalla vita politica ed accettò un modesto lavoro in una casa farmaceutica. Ciò non impedì che durante la famosa purga del giugno 1934, nota come "notte dei lunghi coltelli", egli venisse assassinato da un commando di SS.

Notte dei lunghi coltelli

 

La situazione per il partito nazista a metà gennaio prospettava un futuro difficile che sarebbe stato caratterizzato da altri insuccessi. Si facevano sempre più insistenti le voci riguardo ad irregolarità finanziarie, dovute alle ristrettezze economiche. Molti giornali furono costretti a chiudere e pagare i giornalisti che lavoravano per quelli ancora esistenti diventava un problema. Le SA si dimostrarono sempre più insoddisfatte della politica di Hitler e premevano per una linea più rivoluzionaria per rovesciare l’attuale repubblica. La tensione sfociò in una violenta ribellione, guidata dal comandante delle SA della Franconia centrale, Wilhelm Stegmann. Quasi tutte le camicie brune sotto il suo comando, circa 6000, lo seguirono nella speranza di cambiare le cose. Ma Hitler reagì espellendo i dissidenti dal partito e denunciandoli come traditori agli occhi della gente. Le parole del Fuhrer non furono sufficienti e le diserzioni si estesero a macchia d’olio anche alle regioni circostanti. L’organizzazione paramilitare nazista si stava lentamente sgretolando e se Hitler non fosse riuscito ad ottenere la cancelleria il 30 gennaio, eliminando così dissidi e contrasti, sarebbe crollata definitivamente entro pochi mesi.

Intanto il leader nazista proseguiva per la sua strada, sorretto come sempre da una fede cieca nei suoi ideali. Il 18 gennaio si avvalse dell’aiuto di un produttore di champagne, Joachim von Ribbentrop, per incontrare nuovamente Papen. Hitler attaccò immediatamente pretendendo per sé la cancelleria, forte della vittoria ottenuta nel Lippe tre giorni prima. Le sue parole caddero però nel vuoto poiché il suo interlocutore continuava a premere per un gabinetto Papen appoggiato dai nazisti. Il colloquio terminò con un nulla di fatto e i due si lasciarono nuovamente senza un preciso appuntamento per proseguire le trattative.

Hitler era ben conscio che il destino suo e del suo partito non dipendevano ormai interamente dalle sue capacità. Un ruolo determinante lo avrebbe avuto Papen, lo strumento necessario per ingraziarsi Hindenburg, e Schleicher. Molto, adesso, sarebbe dipeso dalle loro decisioni, dettate spesso dal carattere e dalle ambizioni private. Era una situazione delicata e difficile e nello stesso tempo unica ed imperdibile. Se ben sfruttata avrebbe permesso di raggiungere il potere eliminando così tutti i dissidi interni del partito. Hitler sapeva bene che si sarebbe giocato tutto in pochi giorni ma piuttosto che assistere alla lenta disgregazione del suo movimento decise di rischiare, nonostante il successo dipendesse più dalle decisioni dei suoi nemici e alleati che dalle sue. D’altronde ai suoi occhi le possibilità erano solo due: o il pieno successo della sua missione o il fallimento più completo. Non esisteva una via di mezzo, un compresso accettabile. O tutto, o niente.

Gli occhi di entrambi i complottatori erano ora puntati su un solo uomo: Schleicher. Buona parte delle possibilità di successo dipendevano dalle sue reazioni. Se avesse subodorato qualcosa sicuramente avrebbe cercato di correre in qualche modo ai ripari. Ma il cancelliere guardava con indifferenza agli avvenimenti della prima metà di gennaio. Cercava di mantenere un atteggiamento moderato nei riguardi del Reichstag assicurando la nazione che il suo era solo un cancellierato di transizione e che si sarebbe impegnato a combattere la disoccupazione creando nuovi posti di lavoro. Ruppe sistematicamente con la linea politica del suo predecessore Papen cercando di favorire la ripresa economica in modo più diretto attraverso finanziamenti governativi e non con delle semplici agevolazioni alle imprese. Cercò anche di ingraziarsi le masse abolendo un provvedimento che diminuiva i benefici per i disoccupati ed un altro che dava il potere ai datori di lavoro di ridurre in alcuni casi i salari sotto il minimo fissato. In privato Schleicher non nascondeva, però, le sue preoccupazioni. Il Reichstag, con il suo spauracchio del voto di sfiducia, rimaneva ancora un problema. In più Hindenburg non sembrava intenzionato a concedergli lo speciale decreto di scioglimento che gli avrebbe permesso di coprirsi le spalle.

Bisognava trovare un modo per darsi lustro in campo politico e, soprattutto, di fronte agli occhi della gente. Una azione che gli avrebbe permesso di riscuotere il favore delle masse e quindi di guadagnare prestigio e magari anche l’appoggio del presidente. Il suo piano era semplice: sfruttare il diritto sulla parità di armamenti appena ottenuto per mettere fine alla impotenza militare della Germania. Sperava in sostanza di elevarsi al salvatore dell’orgoglio tedesco in campo internazionale dopo le miserie subite dalla sconfitta della prima guerra mondiale. L’esercito si sarebbe dovuto ricostituire passo dopo passo fino alla ripresa della leva universale. Il progetto era ambizioso ma la sua realizzazione poneva il cancelliere di fronte a molti problemi da risolvere, primo fra tutti le notevoli risorse economiche necessarie per attuare un programma di riarmo in un arco di tempo limitato (circa due anni). Inoltre sulla sua testa pendeva sempre, come una spada di Damocle, la minaccia di un voto si sfiducia, soprattutto perché Hindenburg, simpatizzando ancora per Papen, non sembrava intenzionato a concedergli il risolutorio decreto di scioglimento.

A Schleicher restava poco tempo per porre fine al suo isolamento politico poiché il Reichstag si sarebbe riunito già il 31 gennaio. Se la situazione fosse rimasta invariata un voto di sfiducia sarebbe stato pressoché inevitabile. Al suo gabinetto si sarebbero opposti sicuramente i Socialdemocratici, che accusavano Schleicher di aver caldeggiato Papen nella destituzione del gabinetto prussiano, e i comunisti, che puntavano a destituire il cancelliere per approfittare delle seguenti elezioni ed incrementare ancora il loro vantaggio a discapito dei nazisti. Da soli questi due partiti potevano contare su 221 deputati, quasi il 40% del totale. Senza tener conto che molte altre formazioni politiche di minor importanza si schieravano apertamente contro il governo e che i loro voti avrebbero sicuramente contribuito a promuovere un eventuale voto di sfiducia.

Schleicher capì subito che aveva bisogno di Hitler. Solo lui poteva garantire al suo governo una parvenza di stabilità e scongiurare quindi una prematura caduta. Sperava che i nazisti sarebbero scesi a compromessi con lui pur di evitare lo spettro di nuove elezioni che avrebbero causato al partito altre perdite alle urne. Era anche convinto di potersi servire con facilità di Hitler, distruggendo nello stesso tempo il mito dell’opposizione ad oltranza al governo che aveva fruttato fino a quel momento molti voti ai nazisti. Nei suoi obiettivi non rientrava comunque la distruzione del partito nazista: se ciò fosse avvenuto molti dei suoi esponenti sarebbero migrati verso l’ala comunista, considerata da Schleicher il pericolo numero uno per la Germania.

 

Il piano ad una prima analisi sembra ben congegnato. In effetti se il governo si fosse sciolto sicuramente i nazionalsocialisti avrebbero perso altro terreno, specialmente nei confronti dei loro avversari diretti: i comunisti. Schleicher sapeva che Hitler era ben conscio della situazione che il suo partito stava affrontando: difficoltà economiche e dissidi interni non ancora mitigati. Era convinto che Hitler avrebbe preso la sua proposta come una sorta di ancora della salvezza, per limitare i danni e guadagnare il tempo necessario per risollevare il partito. Sta proprio qui il fondamentale errore che farà naufragare i propositi di Schleicher. La sua sicurezza, il suo orgoglio, e il suo sottovalutare l’avversario lo avrebbero tradito entro pochi giorni. Hitler non era un politico comune e non sarebbe mai sceso a compromessi, sempre spinto dalla convinzione di essere l’uomo del destino, il salvatore della Germania. In più alle spalle del cancelliere stava complottando anche Papen. Schleicher lo sapeva bene ma non dette alcuna importanza alla cosa, disprezzando le capacità politiche del suo ex protetto. Hitler e Papen invece giocarono bene le loro carte ma buona parte del merito del loro successo deve essere attribuito a Schleicher stesso.

Anche la situazione interna fra i suoi collaboratori non era favorevole al cancelliere. Alla sua nomina invece di eleggere dei nuovi ministri a lui fedeli confermò tutti quelli già in carica, per la maggior parte dei tecnici conservatori che male si adattavano alla sua linea politica. I suoi modi bruschi e la sua arroganza gli alienarono la loro fiducia e questo non contribuì certamente all’immagine di un governo finalmente compatto che stava cercando di creare.

Intanto, mentre Schleicher restava convinto delle sue illusioni, Hitler si diede da fare per raggiungere al più presto i suoi scopi e ancora attraverso von Ribbentrop organizzò un incontro con Papen per il 22 gennaio. Entrambe le parti sapevano che il colloquio sarebbe stato decisivo, anche perché vi partecipavano il segretario presidenziale Otto Meissner e il figlio del presidente, Oskar. Entrambi avevano una grande influenza su Hindenburg e riuscire ad ingraziarseli fu una delle mosse vincenti di Papen. Mentre Goring si intratteneva con Meissner, Hitler si separò dal gruppo per conferire in privato con Oskar. Il dialogo tra i due non è ben chiaro perché entrambi non hanno lasciato testimonianze scritte di questo avvenimento. Sicuramente Hitler sfruttò appieno le sue qualità oratorie perché durante il viaggio di ritorno il giovane Hindenburg confidò al segretario del padre che l’ascesa di Hitler era ormai inevitabile. Anche Goring seppe farsi valere conquistando l’appoggio di Meissner. Quest’ultimo era un uomo molto astuto che badava soprattutto alla sua posizione sociale, più che ai doveri che la carica ricoperta gli addossava. Appena capì che Schleicher sarebbe presto finito in disgrazia cercò di assicurarsi l’appoggio dei più probabili candidati alla cancelleria e soprattutto il sostegno di Hitler.

Il Fuhrer poteva ritenersi più che soddisfatto del lavoro compiuto quella sera. Meissner ed Oskar erano le persone fra i consiglieri più fidati di Hindenburg e, partecipando alla maggior parte dei colloqui, potevano "ammorbidirlo" circa una sua eventuale candidatura alla cancelleria. Anche Papen ritenne che la parte maggior parte dei problemi fossero stati risolti dopo il colloquio del 22 e decise di conferire con il presidente già il giorno seguente. La sua proposta di destituire Schleicher trovò subito l’approvazione dell’anziano generale, che ormai non nutriva più alcuna stima nei confronti del cancelliere. Ma quando Papen, appoggiato da Meissner, propose la nomina di Hitler riservandosi solo la poltrona di vice cancelliere, Hindenburg rifiutò categoricamente.

RibbentropNel frattempo mentre i cospiratori si trovavano a colloquio dal presidente Schleicher apprese dell’incontro della sera precedente a casa di Ribbentrop. Fu un duro colpo scoprire che anche Meissner ed Oskar stavano ora tramando alle sue spalle. Il loro appoggio avrebbe dato a Papen un forte vantaggio nei suoi confronti presso Hindenburg. I suoi rapporti con il presidente erano già molto tesi e se anche i suoi due consiglieri più fidati si fossero schierati contro di lui presto la sua posizione sarebbe stata in pericolo. Non avrebbe infatti mai ottenuto dal presidente il decreto di scioglimento e sarebbe stato costretto a subire un voto di sfiducia dai risultati terrificanti. Per scongiurare una simile eventualità fissò un appuntamento con Hindenburg nel pomeriggio dello stesso giorno, poche ore dopo il colloquio del suo rivale. Schleicher voleva scoprire se poteva ancora contare sulla fiducia che gli era stata promessa al momento della sua elezione a cancelliere. Alla sua nomina infatti il presidente gli aveva accordato il suo appoggio completo, esattamente come era avvenuto per il suo predecessore. Kurt espose rapidamente a Hindenburg il motivo della sua visita: quando il Reichstag si sarebbe riunito il 31 gennaio nulla avrebbe potuto evitare un voto di sfiducia. Chiese quindi il decreto necessario per sciogliere la camera e il rinvio delle elezioni, da tenere entro due mesi, oltre il termine prestabilito dalla costituzione. Per appoggiare le sue richieste tentò di focalizzare l’attenzione del suo interlocutore sulla leggera ripresa economica in corso determinata dalle sue manovre economiche. Hindenburg lasciò cadere le richieste del cancelliere nel vuoto lasciando intendergli che prima voleva pensarci con calma e che poi ne avrebbero riparlato. Schleicher si trovava ora con le spalle al muro, senza alcuna possibilità concreta di reagire. A dir il vero una possibilità esisteva e gli era stata fornita dal "suo" ministero della difesa. Nella costituzione repubblica si trovava un errore poco evidente ma scoperto verso la fine del 1932 da alcuni esperti: al momento della sua stesura nessuno aveva pensato alla possibilità di una maggioranza negativa. In pratica i partiti che univano le loro forze per promuovere un voto di sfiducia non costituivano in seguito una maggioranza che potesse sostenere il governo dopo la sua caduta. Appoggiandosi a questa lacuna, il gabinetto del Wurttemberg aveva rifiutato una mozione di sfiducia alla fine del 1932 ed era riuscito a restare in carica. Per suoi consiglieri militari questo era l’unico modo che il cancelliere avesse per rimanere in carica. In più offriva anche due fondamentali vantaggi: 1)non andava contro la costituzione (almeno apparentemente) e quindi non avrebbe attirato le ire dei repubblicani 2)non necessitava di un evidente appoggio da parte del presidente ma solo di un suo tacito consenso. Contro ogni aspettativa Schleicher non si aggrappò a questa ultima chance con ostinazione. Anzi, la rifiutò categoricamente senza però additare alcuna motivazione.

Qualunque cosa pensasse, ora Schleicher si trovava in una situazione precaria. Era completamente isolato politicamente e non era riuscito a farsi degli alleati ne fra i partiti di destra ne tra quelli di sinistra. L’ambasciatore francese Francois-Poncet scrisse a Parigi in quei giorni: "Preso nel vortice delle correnti che attraversano la Germania il generale non sa scegliere; l’impressione che dà è che prima di impegnarsi voglia osservare quale corrente vincerà". E ancora: " … al momento la Germania necessita di uomini che creino una corrente e non che ne seguano una". Schleicher probabilmente si stava già rassegnando all’idea di dover abbandonare la sua carica dopo il mancato appoggio da parte di Hindenburg. È difficile spiegare i motivi di una simile rassegnazione per un uomo abituato all’intrigo ed al doppio gioco come lui. Sicuramente il tradimento da parte del presidente, che gli aveva promesso tutto il suo appoggio il giorno della nomina, doveva averlo molto scosso. Entrambi erano ufficiali prussiani che consideravano l’onore e la parola data dei fondamenti sacri su cui si basava il codice cavalleresco prussiano. Ormai si aspettava di perdere il potere a giorni e, per salvare la Germania da un terzo gabinetto Papen, era disposto a cedere la cancelleria ad Hitler.

La notizia della rottura tra Hindenburg e Schleicher incominciò ad apparire su molti giornali. Temendo che ciò portasse nuovamente alla nomina di Papen, il capo del comando dell’esercito Kurt von Hammerstein si incontrò con il presidente il giorno 27 per metterlo in guardia che un simile provvedimento avrebbe potuto portare alla guerra civile. Le sue parole non trovarono però alcuna risposta.

Il giorno seguente, il 28 gennaio, conscio che ormai non aveva nessuna altra alternativa, Schleicher decise di affrontare nuovamente Hindenburg. Sicuro che si sarebbe opposto alla richiesta di un decreto di scioglimento, avrebbe presentato le sue dimissioni. Al colloquio il cancelliere espose i suoi pensieri sulla situazione attuale della politica tedesca. Caldeggiò la permanenza al potere del suo gabinetto e si oppose strenuamente ad un reinsediamento di Papen, malvisto dal popolo. Ma ormai il vecchio presidente non lo ascoltava nemmeno. Lasciatolo "sfogare" gli negò il decreto e, ringraziandolo per i servigi resi alla patria, gli presentò una lettera di dimissione già compilata. Schleicher, come d’accordo, sarebbe rimasto in carica fino alla formazione del nuovo governo. Dopo una breve discussione sul testo i due si salutarono per l’ultima volta.

Nel pomeriggio di quello stesso giorno Hindenburg ricevette anche la visita del suo protetto cui affidò il compito di sondare alcuni partiti riguardo la formazione di un nuovo governo. In realtà Papen si stava muovendo in quella direzione da almeno una settimana. Aveva avuto principalmente contatti con Hugenberg e Franz Seldte, leader dello Stahlelm, un’organizzazione paramilitare con oltre 300.000 membri. L’obiettivo era quello di creare una coalizione nazionalista con Hitler come cancelliere. Convincere Seldte non fu difficile. Il suo partito non era di grossa dimensione e l’opportunità che gli veniva offerta era un’occasione d’oro per occupare un posto di rilievo nel nuovo governo. Hugenberg si dimostrò invece meno malleabile. Di carattere chiuso ed egocentrico, era un uomo ancorato saldamente alle sue idee dalle quali non si discostava mai. Trattare con lui era molto difficile a causa della sua ristrettezza di vedute che non gli forniva mai una visione d’insieme degli argomenti su cui si stava trattando. Era raro sentirlo ammettere di aver sbagliato. Francois-Poncet lo definì "uno dei peggiori spiriti della Germania". Papen doveva meditare attentamente il tipo d’approccio da avere nei suoi confronti se non voleva mandare a monte il suo piano.

La sera precedente, il 27 gennaio, ci fu un incontro tra Hitler, Frick, Goering e Hugenberg. La questione principale del loro incontro era il possesso dei due ministeri degli interni, quello nazionale e quello prussiano. I nazisti reclamavano il controllo di entrambi ma Hugenberg si dimostrò titubante a concedere a Hitler due cariche così importanti. Se da un lato infatti il ministero degli interni nazionale non aveva un grande valore, dall’altro quello prussiano permetteva il controllo della polizia nel più grande stato tedesco. Spaventato dalla possibilità che Hitler ottenesse il controllo sui quasi 50.000 uomini delle forze di polizia Hugenberg pretese che il ministero fosse affidato a un non nazista. Irato il leader nazista interruppe l’incontro e tornò al Kaiserhof Hotel, dove alloggiava. Fu necessario l’intervento di Papen il giorno seguente perché le trattative venissero riprese.

Mentre le trattative con Hugenberg erano in corso, Hitler e Papen ricevettero la visita di Fritz Schaffer, segretario dei popolari bavaresi ed "emissario" dei partiti cattolici di centro. Impauriti che le recenti voci di un possibile ritorno dell’ex cancelliere al potere diventassero realtà, i leader cattolici proposero di formare una nuova coalizione insieme con i nazisti ed nazionalisti in modo da formare una efficace maggioranza al Reichstag. In questo modo il nuovo gabinetto sarebbe stato di tipo parlamentare e non presidenziale. Una simile ipotesi incontrò però le resistenze di Hitler. Ritirando il loro appoggio, i cattolici avrebbero potuto far crollare il governo in qualsiasi momento. Il leader nazista aspirava invece a diventare cancelliere presidenziale, libero dai vincoli del parlamento. La proposta di Schaffer non si conciliava quindi con i piani di Hitler che rifiutò. Anche Papen si dimostro poco recettivo nei confronti del collega cattolico. Promise comunque a Schaffer che avrebbe riferito la sua proposta al presidente.

Ora i due ostacoli principali erano le residue reticenze di Hindenburg e le trattative ancora in corso con Hugenberg. Quest’ultimo fu infine convinto con la promessa di ricevere, in cambio delle concessioni fatte ad Hitler, alcuni ministeri fra cui quelli dell’agricoltura e del tesoro. Le resistenze del presidente furono infine vinte la sera del 28. Tutti i suoi consiglieri più fidati erano ormai a favore di un insediamento del leader nazista alla cancelleria e i continui rifiuti di Papen ad accettare di nuovo l’incarico non davano molte altre alternative ad Hindenburg. Papen cercò anche di rassicurarlo sminuendo le richieste dei nazisti. Affermò che la maggior parte dei ministri era disposta a restare in carica anche sotto un gabinetto Hitler. Gli unici due dicasteri su cui il presidente desiderava intervenire direttamente erano quelli degli esteri e della difesa. Fu quindi particolarmente contento che l’attuale ministro degli esteri, il barone Konstantin von Neaurath, avesse deciso di rimanere al suo posto anche dopo la caduta del governo. Il ministero della difesa, diretto da Schleicher, aveva invece bisogno di una nuova guida. Dopo alcune proposte di Papen respinte, Hindenburg decise di affidare la carica al generale Werner von Blomberg, l’inviato tedesco alla conferenza tedesca sul disarmo che si stava tenendo in Svizzera. Con questa scelta non si resero conto di fare un grosso favore ad Hitler. Da alcuni mesi, infatti, von Blomberg si stava avvicinando all’ideologia nazista e aveva espresso spesso il desiderio di vedere il leader nazista alla guida del governo, deluso dalla lenta rinascita militare di Schleicher.

 

 

Ormai i giochi sembravano fatti e Papen strappò a Hindenburg la promessa che il nuovo cancelliere, Hitler, avrebbe giurato la mattina seguente, il 30 gennaio. Il presidente dette anche la sua approvazione per la nomina dei nuovi ministri. Quattro di essi – Finanze, Affari Esteri, Poste e Comunicazioni – sarebbero rimasti gli stessi del governo attuale. A Hugenberg venivano affidati i dicasteri dell’Agricoltura e del Tesoro. Von Blomberg ottenne la carica di ministro della Difesa. Seldte avrebbe occupato il ministero del Lavoro. I nazisti invece, oltre ad Hitler alla cancelleria, occuparono le cariche di ministro degli Interni con Frick e quello dei Trasporti con Goering, che sarebbe anche diventato primo ministro prussiano. Papen invece si riservò la carica di vice-cancelliere. Come si può vedere dalla lista Hindenburg non si accorse di uno stratagemma adottato dal suo interlocutore. Sapendo infatti che il presidente avversava un gabinetto Hitler di tipo presidenziale, dato che avrebbe concesso al Fuhrer troppo potere, lasciò vacante il posto di ministro della Giustizia assicurando che esso era riservato ad un esponente del partito cattolico di centro. Le trattative, lasciò intendere Papen, erano ormai a buon punto e presto i cattolici avrebbero appoggiato il governo. Hindenburg fu così rassicurato e il piano dei cospiratori poteva considerarsi praticamente riuscito. In seguito sarebbe stato semplice fingere qualche intoppo nelle trattative. Il presidente, a questo punto, non avrebbe potuto far mancare il suo appoggio al cancelliere e gli avrebbe dovuto fornire gli speciali decreti che già aveva concesso a Schleicher e a Papen.

La mattina del giorno seguente von Blomberg arrivò alla stazione di Berlino dalla Svizzera. Sulla banchina si trovavano due uomini ad attenderlo: von Hammerstein, che doveva condurlo da Schleicher, e Oskar von Hindenburg, che lo doveva accompagnare alla cancelleria per prestare giuramento. Questo fu l’ultimo tentativo compiuto dall’ormai caduto cancelliere per opporsi a Papen. Anch’esso comunque fallì miseramente poiché von Blomberg decise di seguire il colonnello Oskar, in quanto rappresentante del comandante supremo delle forze armate. La notizia che Schleicher avesse tentato di entrare in contatto con il futuro ministro della difesa fece temere un tentativo di colpo di stato militare. Papen si preoccupò d’affrettare i suoi piani e il primo a prestare giuramento fu proprio von Blomberg, andando così contro la costituzione che prevedeva la destituzione di un ministro prima dell’elezione del suo successore (il ministro della difesa rimaneva Schleicher, al momento del giuramento). Subito dopo fu il turno di Hitler e, di seguito, di tutti gli altri ministri. Alle undici e mezzo circa era tutto finito ed il gabinetto Hitler era ormai una realtà.

Nonostante un simile avvenimento furono in pochi a rendersi conto della gravità di ciò che era appena successo. A parte i partiti politici che si schierarono per lo più contro la scelta di Hindenbug, furono i cittadini a dare poco peso all’insediamento di Hitler alla cancelleria. Un simile avvenimento non era certo una novità. I pochi che si accorsero della gravità di un simile gesto si appellarono ad Hindenburg perché ricordasse la sua promessa di non consegnare il potere nelle mani dell’ormai prossimo dittatore. Ma ormai il presidente aveva deciso e difficilmente sarebbe tornato indietro.

La sera i festeggiamenti dei nazisti per la nomina di Hitler si susseguirono tutta la notte nell’intera Germania. A Berlino Hitler rimase affacciato alla finestra del suo nuovo studio a salutare la gente piena di gioia per la vittoria appena ottenuto. Lungo la Wilhelmstrasse migliaia di persone assistettero alla parata di 25.000 SA, organizzata per celebrare degnamente l’evento. Una simile vittoria non faceva altro che rinforzare in Hitler la convinzione d’essere l’uomo della provvidenza. Ormai si sentiva invincibile, nulla lo poteva fermare. Era addirittura convinto che Dio fosse dalla sua parte, che non lo avrebbe mai abbandonato nel cammino che restava ancora da percorrere. Ora che aveva raggiunto il potere, promise a sé stesso che non lo avrebbe mai più lasciato. La tendenza a giocare sempre il tutto per tutto si era ormai radicata profondamente nel suo modo di fare e non lo avrebbe mai più lasciato. Presto gli avrebbe portato sfolgoranti vittorie, ma alla fine lo avrebbe tradito.

Anche Hindenburg quella sera osservava la felicità dei nazisti in una stanza dell’ala vecchia del Reichstag. Forse stava pensando a quello che sarebbe accaduto al suo Paese in pochi anni sotto la guida di Hitler. Papen e Hugenberg, invece, non si preoccuparono minimamente di ciò che avevano causato. Anzi, erano convinti di giostrare con il nuovo cancelliere per i loro scopi. "Nel giro di due mesi lo costringeremo in un angolo così fortemente che le sue ossa scricchioleranno" affermò un raggiante Papen, assistendo al compimento del suo piano.

Il giorno seguente Hindenburg ricevette un telegramma, quasi una visione del futuro della Germania, da parte del generale Erich Ludendorff, suo capo di stato maggiore durante la prima guerra mondiale: "Nominando Hitler cancelliere del Reich tu hai posto la nostra sacra madre patria nelle mani di uno dei più astuti demagoghi di tutti i tempi. Io prevedo che quest’uomo diabolico sprofonderà il nostro Reich nell’abisso e procurerà al nostro popolo immani sofferenze. Le generazioni future malediranno il tuo nome".

 

A decidere il futuro della Germania furono tre persone: Hindenburg, Papen e Schleicher. È inutile, oggi, a quasi settanta anni di distanza, cercare un colpevole per quegli avvenimenti. Giudicare adesso il loro operato, alla luce di ciò che divenne Hitler dopo la sua ascesa al potere, è troppo facile. Allora le cose erano meno evidenti di come appaiono ora. I tre politici tedeschi vanno invece accusati di aver cercato più il loro interesse che il bene della patria. Spesso si lasciarono guidare dai loro sentimenti e dal desiderio di vendetta nel prendere decisioni molto importanti. Papen ideò tutto il suo piano solo per vendicarsi di Schleicher. Hindenburg, che aveva in fin dei conti l’ultima parola in quanto presidente, si lasciò guidare solo dall’antipatia che provava per Schleicher. Quest’ultimo probabilmente fu l’unico che non perseguiva alcun interesse personale. Sembra quasi che fosse stato travolto dagli eventi di gennaio, senza che potesse far molto per cambiare la situazione. Tutti e tre compirono comunque un gravissimo errore: sottovalutare Hitler. Quando si decide di colpire un nemico, si deve studiarlo a fondo per capirne i punti di forza e le debolezze. Papen e Schleicher pensavano invece di poter giostrare con il leader nazista a loro piacimento. Lo consideravano un mezzo per attuare i loro fini. Hindenburg lo chiamava con disprezzo "il mio caporale". Hitler, che a differenza dei suoi avversari non aveva neanche finito gli studi, approfittò magistralmente della situazione. Intuì cosa pensavano di lui i due politici tedeschi e ne approfittò. Lasciò credere a Papen di poterlo controllare ma quando alla fine raggiunse il potere si sbarazzò di lui senza alcun problema.

La nascita del Terzo Reich era quindi evitabile perché non dipendeva completamente da Hitler. Fu dettata da una serie di coincidenze che unite crearono la fortuna del leader nazista. Schleicher poteva tranquillamente continuare a detenere il potere, ma i suoi limiti in campo politico e i modi bruschi nei confronti del presidente spianarono la strada alla cospirazione che lo avrebbe destituito. Hindenburg si lasciò influenzare facilmente nelle sue scelte e fu quasi una marionetta nelle mani del suo protetto Franz. Papen avrebbe potuto mantenere la cancelleria, se lo avesse voluto, grazie all’amicizia che lo legava al presidente. Oltre a questi fattori la sorte sembrò schierarsi dalla parte di Hitler. Le elezioni nel Lippe giunsero proprio quando si rendeva necessario risollevare il morale fra le file del partito. Gregor Strasser gli rimase fedele nonostante l’espulsione dal partito e suo fratello Otto non rappresentò mai una minaccia. L’incontro a Colonia con Papen gli diede una possibilità concreta di giungere al potere proprio quando il suo partito stava perdendo forza.

Anche inglesi e francesi contribuirono, seppur molto indirettamente, all’iniziale ascesa di Hitler. Il trattato di Versailles era una ferita aperta nel cuore di ogni cittadino della Germania. Scaricava, infatti, la colpa per lo scoppio della guerra sul solo popolo tedesco. Aveva anche piegato economicamente la nazione portando una disoccupazione impressionante e una inflazione mai più eguagliata in tutta l’Europa. I debiti di guerra costringevano i tedeschi a consegnare parte della loro produzione industriale ed agricola ai paesi vincitori. Tutti questi fattori contribuirono a creare un malcontento generale verso il governo, incapace di far fronte ai problemi derivanti dalla crisi economica. La campagna politica di Hitler, che prometteva sostanziali miglioramenti, e la sua ideologia, che trovava negli ebrei e nel marxismo un capro espiatorio alle difficoltà in cui verteva la Germania, ebbe quindi molto successo. Tantissime persone provate dalle privazioni causate dal trattato votarono per i nazisti, agli inizi del 1930, contribuendo così alla loro ascesa. Il documento era così duro che gli Stati Uniti si rifiutarono di ratificarlo. Un membro della commissione americana commentò: "Questo non è un trattato di pace, vedo almeno una dozzina di guerre in esso".

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