Evoluzionismo e selezione naturale

Charles DarwinFu in Inghilterra che l’evoluzionismo in biologia ebbe la sua sistemazione scientifica ad opera di Charles Darwin (18/09/1882), autore di varie pubblicazioni relative alla botanica e alla zoologia, ma soprattutto delle opere Origine delle specie, Le variazioni degli animali e delle piante allo stato domestico, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, Espressione dei sentimenti nell’uomo e negli animali.

Da giovane compí un viaggio per il mondo, come naturalista. Da questo viaggio tornò con molti appunti e con la convinzione che in campo biologico c’è stata evoluzione delle specie nel corso del tempo: questo solo poteva spiegare la successione delle forme viventi in uno stesso luogo, documentata dall’esistenza di fossili, e la distribuzione attuale delle specie viventi.

Ma tale convinzione doveva essere argomentata a dovere: bisognava studiare soprattutto la riproduzione e le leggi dell’adattamento all’ambiente da parte degli organismi viventi. Continuò cosí in patria la sua osservazione e procedette a varie sperimentazioni.

Evidentemente fatti come questi (cioè quelli osservati durante il viaggio) e molti altri si potevano spiegare supponendo che le specie si modificassero gradualmente; e questo pensiero mi ossessionava. Ma era ugualmente evidente che né l’azione delle condizioni ambientali, né la volontà degli organismi (specialmente nel caso delle piante) potevano servire a spiegare tutti quegli innumerevoli casi di organismi di ogni tipo mirabilmente adattati alle condizioni di vita…
Questi adattamenti mi avevano sempre vivamente colpito, e mi sembrava che finché essi non fossero stati spiegati sarebbe stato inutile cercare di dimostrare con prove indirette che le specie si sono modificate.
Dopo il mio ritorno in Inghilterra pensai che se avessi lavorato come aveva fatto Lyell nel campo della geologia, cioè raccogliendo tutti i fatti che hanno avuto relazione con la variazione degli animali e delle piante sia allo stato domestico sia in natura, avrei potuto portare qualche luce sull’argomento.
Lavorai secondo i principi baconiani, e, senza seguire alcuna teoria raccolsi quanti piú fatti mi fu possibile, specialmente quelli relativi alle forme domestiche, mandando formulari stampati, conversando con i piú abili giardinieri e allevatori di animali, e documentandomi con ampie letture.
(Autobiografia)

E proprio la documentazione relativa alle forme viventi domestiche gli fece balenare in mente la possibile soluzione. Giardinieri e allevatori ottengono variazioni nelle forme biologiche con la selezione artificiale; forse allora le variazioni verificatesi, nel corso del tempo, in natura sono dovute ad una selezione naturale.

Non tardai a rendermi conto che la selezione era la chiave con cui l’uomo era riuscito ad ottenere razze utili di animali e piante. Ma per qualche tempo mi rimase incomprensibile come la selezione si potesse applicare ad organismi viventi in natura.
(Autobiografia)

La conferma teorica del fatto che in natura agisce una legge generale di selezione naturale gli venne dalla lettura di un’opera che non rientrava immediatamente nell’orizzonte dei suoi interessi scientifici.

 

Nell’ottobre 1838 … lessi per diletto il libro di Malthus sulla Popolazione, e poiché, date le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e delle piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per valutare la lotta per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui subito colpito dall’idea che, in tali condizioni, le variazioni vantaggiose tendessero ad essere conservate, e quelle sfavorevoli ad essere distrutte. Il risultato poteva essere la formazione di specie nuove. Avevo dunque ormai una teoria su cui lavorare.
(Autobiografia)

Sicché, riordinando le informazioni ch’egli aveva parzialmente raccolto e catalogato, arrivò alle seguenti conclusioni: la variazione delle condizioni ambientali e l’accrescimento numerico degli individui di una stessa specie pongono agli organismi viventi «problemi di adattamento»; essi vivono una vera «lotta per l’esistenza»; quelli che riescono a produrre in sé le variazioni (nella loro organizzazione biologica e nelle loro funzioni) adatte alle nuove condizioni, sopravvivono; quelli che non vi riescono arrivano fino all’estinzione; in quelli che sopravvivono i nuovi caratteri acquisiti, stabilizzatisi, si trasmettono «per ereditarietà»; quando essi sono stati acquisiti in modo irreversibile, possono costituire una trasformazione anche tanto radicale da rappresentare una vera mutazione della stessa specie, cioè essi possono dare «origine ad una nuova specie».

Con ciò Darwin aveva spiegato la selezione naturale e aveva dato un fondamento all’evoluzionismo; ma non tutti i quesiti erano risolti:

In quel tempo però non afferrai un problema molto importante … Mi riferisco alla tendenza degli organismi discendenti da uno stesso ceppo a divergere nei loro caratteri, quando si modificano. Che essi si siano molto differenziati è provato dal fatto che le specie di tutti i tipi possono essere riunite in generi, i generi in famiglie, le famiglie in sottordini, e cosí via… La soluzione secondo me consiste nel fatto che la discendenza modificata delle forme dominanti e in via di sviluppo tende ad adattarsi a parecchi luoghi che hanno caratteristiche molto diverse nell’economia della natura.
(Autobiografia)

Era dunque spiegata, con la stessa teoria. anche la diversificazione, la differenziazione nell’ambito della stessa specie.

Tutto questo Darwin scrisse nell’opera Origine delle specie, libro che ebbe subito un notevole successo di vendite, e trovò fortuna anche all’estero, tanto che in breve tempo fu tradotto in molte lingue. Tra l’altro Darwin osserva con divertito stupore:

Ne è comparso anche un saggio in ebraico, in cui si dimostra che la mia teoria è contenuta nel Vecchio Testamento!
(Autobiografia)

Ma quel libro trovò anche irriducibili avversari. Infatti esso poneva il problema della collocazione dell’uomo nella natura. Tale problema «scoppiò» soprattutto quando Thomas Huxley (1825-1895) fece una strenua difesa dell’evoluzionismo; biologo, uomo di ingegno e di cultura, buon oratore, dotato ugualmente di senso dell ironia e di spirito battagliero, Huxley sostenne senza mezzi termini che l’uomo derivava dalle scimmie; tale affermazione fu all’origine di un vivace scontro col vescovo anglicano S. Wilberforce. Infatti l’evoluzionismo sembrava a molti la negazione dell’origine divina dell’uomo, dell’immortalità dell’anima, e di ogni fondamento della vita morale. Questa convinzione alimentava le discussioni non solo nell’ambito della chiesa anglicana, ma anche nei circoli borghesi e conservatori inglesi, stretti nella difesa della posizione «aristocratica» dell’uomo nella realtà naturale; difesa che trovò una formula efficace nell’affermazione di Disraeli che, fra le scimmie e gli angeli, egli preferiva come antenati gli angeli.

Lo stesso Darwin si rendeva conto che la sua teoria sollevava problemi d’ordine morale, religioso, teologico, … ed anche politico. Infatti anche Marx ed Engels scesero in campo manifestando il loro entusiasmo per il darwinismo, che a loro avviso poteva essere esteso alla concezione della storia e della società; infatti i concetti di selezione naturale e di evoluzione potevano costituire la spiegazione «naturale» dello sfruttamento, della lotta di classe, e, in generale, la base di tutto il materialismo storico-dialettico, smentendo quella che essi definirono «la falsa legge di Malthus», che spiegava la lotta tra gli uomini, semplicisticamente, con la sproporzione tra l’incremento della popolazione e quello dei beni di sussistenza.

Di fronte all’enorme cumulo di questi problemi, proposti da ammiratori e denigratori, Darwin conservò un atteggiamento di serietà scientifica, cercando di ribadire e confermare la validità della sua teoria limitatamente al campo biologico (così raffreddò gli entusiasmi di Marx).

Nell’opera L’origine dell’uomo, egli infatti sostenne:

La conclusione principale a cui siamo giunti qui… è che l’uomo è disceso da qualche forma meno altamente organizzata. Le basi di questa conclusione non saranno mai scosse, data la intima somiglianza tra l’uomo e gli animali inferiori, nello sviluppo embrionale ed in infiniti punti di struttura e di costituzione, sia di grande che di lieve importanza; i rudimenti che l’uomo conserva e le anormali reversioni a cui è occasionalmente soggetto, son tutti fatti che non si possono confutare. Essi sono noti da lungo tempo, ma fino a poco fa non ci dicevano niente sull’origine dell’uomo. Ma ora, visti alla luce delle nostre conoscenze di tutto il mondo dei viventi, il loro significato non può sfuggire. Il grande principio dell’evoluzione domina chiaro e fermo, quando questi gruppi di fatti son considerati in rapporto con altri, quali le affinità reciproche dei membri dello stesso gruppo, la loro distribuzione geografica nel passato e nel presente, e la loro successione geologica. Non si può assolutamente pensare che tutti questi fatti dicano il falso. Chi non si accontenta di pensare (come un selvaggio) che i fenomeni naturali non sono collegati, non può credere che l’uomo sia opera di un atto separato di creazione. Egli sarà costretto ad ammettere che l’intima rassomiglianza dell’embrione umano con quello, ad esempio, di un cane, la struttura del cranio, delle membra, dell’intera forma somatica dell’uomo ripete lo stesso modello di quella degli altri mammiferi (indipendentemente dall’uso a cui le singole parti sono destinate), la ricomparsa occasionale di varie strutture, per esempio, di parecchi muscoli che normalmente non sono presenti nell’uomo, ma che sono normali nei quadrumani, ed una quantità di fatti analoghi, tutti portano nella maniera piú evidente alla conclusione che l’uomo discende da un progenitore comune agli altri mammiferi.
(L’origine dell’uomo)

Pertanto, come nei regni vegetale ed animale, cosí anche in quello degli organismi umani dominano le leggi dell’ereditarietà, della lotta per l’esistenza e della selezione naturale.

Abbiamo visto che l’uomo presenta continuamente differenze individuali in tutte le parti del corpo e nelle facoltà mentali. Queste differenze o variazioni dipendono dalle stesse cause generali e obbediscono alle stesse leggi che negli animali inferiori. In entrambi i casi valgono le stesse leggi dell’eredità. L’uomo tende a moltiplicarsi molto al di là dei suoi mezzi di sussistenza, e di conseguenza è soggetto occasionalmente ad una grave lotta per l’esistenza e la selezione naturale agisce su tutto ciò che è nel suo campo d’azione. Non è affatto necessaria una successione di variazioni molto spiccate di natura simile, piccole, fluttuanti differenze individuali bastano per l’azione della selezione naturale; non vi è ragione di pensare che nella stessa specie tutte le parti dell’organizzazione tendano a variare nello stesso grado. Possiamo esser certi che gli effetti ereditari del continuo uso o disuso di parti agiscono intensamente nella stessa direzione della selezione naturale. Modificazioni dapprima importanti, anche quando non servono piú in qualche funzione particolare, rimangono per lungo tempo ereditarie. Quando una parte si modifica, altre parti cambiano per principio di correlazione, di cui abbiamo esempi in molti strani casi di mostruosità correlative. Si può attribuire qualche effetto all’azione diretta e definita delle condizioni ambientali, come l’abbondanza di cibo, il caldo o l’umidità; infine molti caratteri di leggera importanza fisiologica ed alcuni invece di notevole valore sono stati acquisiti per selezione sessuale.
(L’origine dell’uomo)

Anzi, proprio in virtù delle leggi generali dell’evoluzione è possibile spiegare le differenze tra le diverse razze umane, e ricondurre queste ad un unico ceppo.

Mediante i mezzi prima detti e con l’aiuto forse di altri non ancora scoperti, l’uomo si è elevato al suo stato attuale. E dal momento in cui ha raggiunto il suo posto di uomo, si è distinto in razze, o, come si possono chiamare piú propriamente, sotto-specie differenti. Alcune di queste, come i negri e gli Europei, sono cosí diverse tra di loro, che se si portassero ad un naturalista degli esemplari, senza nessun’altra notizia, egli le giudicherebbe senza dubbio come specie differenti. Nondimeno tutte le razze umane concordano in tanti insignificanti dettagli strutturali e in tante particolarità mentali, da poterle soltanto attribuire all’eredità da un comune progenitore; un progenitore con queste caratteristiche avrebbe probabilmente meritato il posto di uomo.
(L’origine dell’uomo)

Ed è possibile pure individuare gli «antenati» prossimi e remoti dando loro una collocazione nella «serie zoologica». zoologica

Se consideriamo la struttura embriologica dell’uomo, le analogie con gli animali inferiori, i rudimenti che conserva, e la reversione cui è soggetto, possiamo in parte immaginare la condizione primitiva dei nostri progenitori e possiamo approssimativamente collocarli in un posto appropriato nella sene zoologica. Impariamo cosí che l’uomo è disceso da un quadrupede peloso, provvisto di coda, probabilmente con l’abitudine di vivere sugli alberi e che abitava il Vecchio Continente. Se un naturalista avesse esaminato l’intera struttura di questo essere l’avrebbe classificato tra i Quadrumani, con la stessa sicurezza con cui avrebbe classificato l’ancora piú antico progenitore delle scimmie del Vecchio e del Nuovo Continente. I quadrumani e tutti i mammiferi piú elevati derivano probabilmente da qualche antico marsupiale e questo, attraverso una lunga discendenza di forme che andavano divergendo, da qualche creatura simile agli Anfibi, e questi ancora da qualche animale simile ai pesci. Nella profonda oscurità del passato, possiamo intravedere che il primo progenitore di tutti i Vertebrati deve essere stato un animale acquatico, provvisto di branchie, coi due sessi riuniti nello stesso individuo e con la maggior parte degli organi piú importanti (come il cervello e il cuore) imperfettamente o per nulla sviluppati. Questi animali dovevano esser piú simili alle attuali ascidie di mare che a qualsiasi altra forma conosciuta.
(L’origine dell’uomo)

Certo, restano da «spiegare» le qualità intellettuali e morali, e le attitudini e capacità ad esse connesse, che sembrano essere caratteristiche specifiche ed esclusive dell’uomo. Ma Darwin non si sottrasse a questo compito. Egli infatti sostenne che le qualità morali sono espressione matura di istinti sociali propri anche degli animali, di quegli istinti per i quali gli animali si aggregano, ad esempio, secondo «vincoli familiari». E quanto alle facoltà intellettuali superiori (raziocinio, astrazione, autocoscienza), esse sono l’esito del miglioramento di quelle facoltà mentali che anche gli animali mostrano di possedere attraverso il linguaggio e l’arte con cui organizzano la loro vita.

Dopo essere giunti a questa conclusione sull’origine dell’uomo, la piú grande difficoltà che si presenta rimane l’alto livello delle nostre facoltà intellettuali e morali. Chiunque ammetta l’evoluzione sa che le facoltà mentali degli animali superiori, le quali sono della stessa specie di quelle dell’uomo, sebbene di grado cosí differente, sono suscettibili di progredire. Cosí il divario tra le facoltà mentali di una delle scimmie piú elevate e quelle di un pesce, oppure quelle di una formica e di un coccus, è immenso; inoltre il loro sviluppo non offre nessuna speciale difficoltà, infatti negli animali domestici le facoltà mentali sono variabili e le variazioni sono ereditarie. Nessuno dubita che le facoltà mentali sono della massima importanza per gli animali allo stato naturale. Vi sono quindi tutte le condizioni per il loro sviluppo mediante la selezione naturale. La stessa conclusione si può estendere all’uomo: l’intelletto deve essere stato molto importante per lui anche in un periodo molto remoto, perché gli ha permesso di inventare e usare il linguaggio, di costruire armi, utensili, trappole, ecc., in modo che con l’aiuto della sua abitudine di vivere in società, egli molto tempo fa riuscí a dominare tutti gli esseri viventi.
Un grande passo nello sviluppo dell’intelletto si ebbe non appena entrò in uso il linguaggio, per metà arte e per metà istinto; infatti il continuo uso del linguaggio deve aver agito sul cervello e determinato un effetto ereditario; e questo a sua volta ha agito sul miglioramento del linguaggio. La grandezza del cervello dell’uomo, relativamente al corpo, in confronto agli animali inferiori, può attribuirsi in massima parte ad un primitivo uso di una semplice forma di linguaggio, quel congegno meraviglioso che assegna parole ad ogni sorta di oggetti e di qualità, e suscita una serie di pensieri che non sorgerebbero mai dalla pura impressione dei sensi, o anche se si formassero non avrebbero alcun seguito. Le facoltà intellettuali piú elevate dell’uomo, come il ragionamento, l’astrazione, e la coscienza, probabilmente derivarono dal continuo miglioramento ed esercizio delle facoltà mentali.
(L’origine dell’uomo)

L’uomo dunque, per Darwin, è un essere «superiore», ma le sue origini biologiche sono animalesche; il che non deve procurar vergogna; anzi egli rappresenta proprio la punta piú avanzata dell’evoluzione naturale.

 

Per parte mia vorrei piuttosto esser disceso da quella piccola eroica scimmietta che sfidò il suo terribile nemico per salvare la vita del proprio guardiano, o da quel vecchio babuino che, discendendo dalle montagne, portò via trionfante un suo giovane compagno da una torma di cani stupiti, piuttosto che da un selvaggio che trae diletto a torturare i nemici, consuma sacrifici di sangue, pratica l’infanticidio senza rimorso, considera le mogli come schiave, non conosce il pudore ed è tormentato dalle piú grossolane superstizioni.
(L’origine dell’uomo)

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