Il socialismo utopistico

Claude Henri de Saint-Simon (1760-1825) fu l’ispiratore di quel movimento dei «sansimonisti» in cui si riconobbero da una parte alcuni teorizzatori del «socialismo» a lui contemporanei, e dall’altra, coloro che, dopo il Congresso di Vienna, auspicando un rinnovamento spirituale, sociale e politico sulla base della scienza e della tecnica, rappresentarono i fautori, se non addirittura i promotori, dello sviluppo industriale e della ristrutturazione sociale della Francia nell’epoca della Restaurazione.


 

 

Educato illuministicamente, aveva trent’anni circa quando scoppiò la Rivoluzione Francese, a cui partecipò con spirito antimonarchico, antifeudale, antiecclesiastico, antiaristocratico, e propugnando un ideale di uguaglianza, di trionfo della ragione e di istituzione di un’Assemblea Nazionale espressione della «volontà generale». Frattanto, però, curava grossi affari economici, speculando soprattutto nel campo dei beni immobili. Solo a quarantadue anni scrisse la sua prima opera, Lettere di un abitante di Ginevra ai suoi contemporanei, a cui seguí, nel 1808, l’Introduzione ai lavori scientifici del secolo XIX. Tra le rimanenti opere ricordiamo: Prospetto per una nuova Enciclopedia (1810), Memoria sulla scienza dell’uomo (1814), Il sistema industriale (1821-22), Il catechismo degli industriali (1823-24) e Il Nuovo Cristianesimo (1825). Pubblicò poi la rivista L’industria che si avvalse della collaborazione di industriali, politici, economisti, banchieri, e che fu il «centro» di una «scuola». Collaborò con Comte alla pubblicazione de L’Organizzatore.

Se esaminiamo a fondo – sostiene Saint-Simon – lo sviluppo storico, possiamo rilevare l’alternarsi di epoche organiche, in cui tutta la vita della società ruota intorno ad un nucleo ideale ispiratore, allo stesso tempo, sia dei sistemi filosofici, etici e religiosi, sia dell’organizzazione sociale, economica e politica della società, ed epoche critiche, cioè quelle in cui l’unità della società si sgretola sotto la spinta dell’esigenza di nuovi «principi» che diano nuovo e migliore assetto globale alla vita umana. Sicché la storia appare regolata dalla legge del progresso, per la quale non solo non si verificano mai passi all’indietro, ma ogni stadio ulteriore dell’umanità rappresenta uno sbocco necessario e una conquista rispetto alla condizione precedente. L’ultima epoca organica, poi, fu, a suo giudizio, quella «medievale», dominata dalla fede in Dio e dall’ideale della fratellanza; quella «moderna» è invece un’epoca critica, caratterizzata com’è dal disordine spirituale e sociale derivato dalla distruzione dei valori teologico-politici medievali; distruzione prodotta, oltre che dalla Riforma, dalla nascita della nuova scienza. Tuttavia proprio nell’età moderna si vanno delineando, egli dice, i caratteri dell’età contemporanea. La scienza moderna ha assunto come principio che bisogna pensare ed organizzare il sapere sulla base dei fatti positivi, empiricamente rilevabili. Tale principio, che già informa l’astronomia, la fisica e la chimica, finirà, per la necessità del progresso storico, col costituire il fondamento di tutte le altre scienze e della stessa filosofia. Nascerà allora un nuovo sistema religioso, morale e politico che sarà la base di una organizzazione positiva della società. In particolare l’organizzazione politica, sottratta al capriccio delle circostanze, all’arbitrio dei sovrani e alle ipotesi astratte dei governanti, sarà modellata sulla scienza politica, che si alimenterà di fatti positivi, derivati dall’osservazione concreta dell’uomo in quanto essere sociale. Tale osservazione rivela che l’uomo si sente compiuto nella società quando siano stati soddisfatti i suoi bisogni fisici e le sue esigenze morali, perché i suoi interessi sono legati allo «sviluppo della vita e del benessere». Poiché l’attività politica e le stesse istituzioni hanno un senso solo se in relazione a questi interessi e bisogni, e poiché questi possono essere soddisfatti solo dalle scienze, dalle arti e dai mestieri, ne consegue che la guida dello stato dev’essere affidata a scienziati e artisti, per i problemi spirituali, a tecnici e produttori per quelli materiali. Ma Saint-Simon poi correggerà questa prospettiva quando ne Il sistema industriale affermerà che la guida dello stato non spetta tanto agli scienziati quanto agli «industriali» che, proprio per la salvaguardia dei propri interessi, hanno a cuore la corretta conduzione dello stato insieme allo sviluppo economico della società.

 

Nel nuovo assetto politico tuttavia i governanti saranno solo espressione della sovranità del corpo sociale, perché solo a questo spetta il compito di «fissare la direzione in cui la società deve camminare». Questa proposta di Saint-Simon, è evidente, ha un carattere meramente utopico, mancandole – a dispetto di quanto egli credesse – ogni fondamento scientifico. E che egli fosse un utopista lo mostra anche l’ideale di un’Europa unita che avrà luogo, a suo giudizio, a compimento dell’epoca positiva. Egli sogna un parlamento generale sovranazionale, in cui rifluiranno problemi e interessi comuni del popoli europei, e in cui essi saranno, rispettivamente, risolti e tutelati prioritariamente rispetto a quelli nazionali; cosí, egli assicura, si estingueranno le cause dei conflitti e delle guerre. Il fatto che quell’ideale ha avuto una specie di attuazione ai nostri giorni, evidentemente, non è motivo che tolga carattere utopistico alla sua speculazione. Tanto piú ch’egli, per esempio, dà un’interpretazione religiosa alla futura società umana. La società futura sarà, per lui, quella dei Nuovi cristiani, che avranno attuato nei loro rapporti gli ideali della «chiesa primitiva»; in essa sarà bandita ogni violenza ed ogni uomo parteciperà con convinzione al miglioramento della vita materiale e spirituale del prossimo, in particolare della classe piú indigente; perché in essa le stesse istituzioni socio-politiche esprimeranno i principi della «dottrina evangelica». Sicché il suo «discorso», iniziato con l’affermazione della funzione della scienza nella riforma della vita sociale, finisce non solo in utopia, ma quasi in visione mistica; il suo disegno di società perfetta assume caratteri di visione escatologica.

 
L’ideale di una società in cui sia attuata la giustizia e sia assicurata all’uomo la felicità fu quello che animò anche gli scritti di Charles Fourier (1772-1835). Nell’evoluzione della storia egli distingue quattro fasi: stato selvaggio, barbarie, patriarcato e civiltà; l’ultima è rappresentata dalla società borghese, organizzatasi politicamente dal sec. XVI. Ma dell’era civile, che è quella in cui egli vive, non è entusiasta: essa è afflitta da limiti e vizi che nelle precedenti erano patenti e al suo tempo latenti; è una società ipocrita, anarchica e contraddittoria; essa anzi alimenta da sé le contraddizioni proprio quando vuole eliminarle. C’è bisogno – egli sostiene – di una riforma sociale elaborata sulla base del metodo induttivo, metodo che già aveva promosso la riforma delle scienze.

Poiché l’osservazione del comportamento umano indica che l’uomo agisce con pienezza di energie e con convinzione solo quando si sente «attratto» ad agire, è necessario dunque che sulla legge dell’attrazione passionale siano conformati sia l’ordinamento produttivo che quello politico. Pertanto l’organizzazione produttiva in generale, e quella industriale in particolare, quella cioè che caratterizza l’epoca moderna, devono strutturarsi sul principio della potenza d’attrazione del lavoro, in modo da fornire all’uomo, come testualmente dice Fourier, «esche piú seducenti, forse, di quelle che sono adesso le esche delle feste, dei balli e degli spettacoli» e da produrgli «tanta soddisfazione e stimolo nei suoi lavori» che egli impieghi in essi ogni energia senza sentir il bisogno di distogliersi.

 

Quella di Fourier è una visione globale; non è solo una «dottrina» economica, ma anche una concezione morale. Infatti egli formulò un progetto, insieme economico, etico e sociale, di riforma dell’organizzazione umana. Esso s’impernia sulla falange, che è una comunità sociale di 1800 persone, organizzata comunisticamente; l’ideale comunistico ispira sia l’organizzazione della produzione, sia quella della distribuzione dei beni, sia i rapporti umani, compresi quelli sessuali. Tale comunità risiede in un falansterio, che è una struttura architettonica integrata e compatta e autonoma a tutti i livelli, rispetto a tutti i bisogni. In queste condizioni – questa era la convinzione di Fourier – si sarebbe creata l’«armonia», o meglio sarebbe stato realizzato un momento dell’armonia universale.

Per amore di un tal progetto, tuttavia, cadde in contraddizione con sé: egli che fu critico severo di finanzieri e speculatori, di arricchiti con rendite parassitarie e di detentori di monopoli, come di governanti inetti e di uomini di potere, non esitò a transigere sul tipo di orientamento politico o di collocazione economica di un eventuale finanziatore del suo piano. 

Si diceva prima che quella di Fourier è una visione globale; e infatti essa ha anche un fondamento metafisico. La legge dell’attrazione che regola i comportamenti umani e che, tenuta in conto nell’organizzazione economico-politica, produce armonia, è la stessa legge con la quale – egli dice – Dio governa e dà unità armonica a tutto l’universo.

Egli dirige l’universo materiale con l’attrazione; se avesse usato un altro mezzo per la direzione del mondo sociale, nel suo sistema non ci sarebbe stata unità, ma duplicità d’azione…

(Il nuovo mondo industriale e societario)

 

Tra l’altro, per difendere il suo progetto di falange, giudicato troppo perfetto per essere attuabile, dice:

Affermare che un tal grado di perfezione non è fatto per gli uomini, è accusare Dio di scelleratezza; perché egli possiede un mezzo sicuro per applicare alle relazioni umane il sistema che piú gli piacerà. Questo mezzo è l’attrazione, di cui soltanto Dio è il distributore: essa è per lui una bacchetta magica, che appassiona tutte le creature all’esecuzione della volontà divina. Da quel momento, se a Dio piacesse il regime di perfezione sociale, cioè quello dell’unità societaria, della giustizia e della verità, gli basterebbe, per farci adottare un simile regime, renderlo attraente per ciascuno di noi. Ma è ciò ch’egli fa: ve ne convincerete leggendo il trattato del meccanismo societario distribuito in serie passionali. Tutti grideranno: ecco ciò che desidero, sarebbe per me la felicità suprema. La perfezione è perciò fatta per gli uomini, se essa è la volontà di Dio, il che è impossibile dubitare. Per aver troppo poco sperato in Dio, noi non abbiamo raggiunto i mezzi di perfezione sociale, che sarebbe stata cosí facile da scoprire mediante il calcolo dell’attrazione
(Il nuovo mondo industriale e societario)

Ed è la convinzione che il suo progetto sia espressione della volontà di Dio, e incarnazione della legge divina dell’universo, che gli fa esclamare:

Io solo avrò umiliato venti secoli d’imbecillità politica, e solo a me le generazioni presenti e future dovranno l’iniziativa della loro immensa felicità… Possessore del libro dei Destini, ho infranto le tenebre politiche e morali e, sulle rovine delle scienze incerte, levo la teoria dell’armonia universale.
(Teoria dei quattro movimenti)

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