Archivi categoria: Poesia

Viviamo, mia Lesbia (Gaio Valerio Catullo)

Viviamo, mia Lesbia, e amiamo:
tutte le chiacchere dei vecchi brontoloni
– lasciale perdere, non valgono una lira.
Tramonta il sole e poi ritorna:
per noi, quando la breve luce è tramontata,
solo rimane il sonno di una notte senza fine.
Dammi mille baci, e ancora cento,
poi altri mille, e altri cento ancora,
e mille e cento e non fermarti mai.
Poi, quando ne avremo a migliaia,
li confonderemo, per non sapere
– perché nessuno sappia il mucchio
di quei baci, e non ci dia il malocchio.e.

Gaio Valerio Catullo
(ca. 84-54 a. C.)
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Carme V (Gaio Valerio Catullo)

Viviamo, Lesbia mia, e amiamoci,
e le chiacchiere dei vecchi bigotti,
facciamo che valgono meno di 10 lire.
Il sole tramonta e poi risorge:
a noi, dopo un'unica breve giornata,
ci tocca dormire tutta un'eterna notte.
Dammi mille baci, poi cento,
poi altri mille, poi di nuovo cento,
poi ancora mille, poi ancora cento.
Poi, quando ne avremo diverse migliaia,
sparpagliamoli tutti, in modo da perdere il conto
– ché qualche maligno non ci tiri il malocchio,
a sapere di tutti 'sti baci.

Gaio Valerio Catullo
(ca. 84-54 a. C.)
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Povero Catullo, smettila di illuderti! (Gaio Valerio Catullo)

Povero Catullo, smettila di illuderti!
Ciò che è perso – e lo sai – è perso: ammettilo.
Giorni di luce i tuoi, un lampo lontano,
quando correvi dove la tua fanciulla ti chiamava,
lei amata come nessuna sarà mai.
Quanta allegria, allora: quanti giochi
volevi, e lei accettava.
Davvero un lampo lontano, quei giorni.
Ora non vuole più: e tu devi accettare.
Non seguirla, se fugge, e non chiuderti alla vita:
resisti, con tutte le tue forze.
Addio, fanciulla. Catullo è forte:
non verrà a cercarti, non ti pregherà, se tu non vuoi.
Ma tu, senza le sue preghiere, soffrirai.
Ah, infelice, che vita ti rimane?
Chi ti vorrà? A chi sembrerai bella?
Chi amerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, non cedere, resisti.

Gaio Valerio Catullo (ca. 84-54 a. C.)
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Madrigale del pettine perduto (Rafael Alberti)

I Oè, oè, amante mia,
oè.
Il tuo pettinino,
che verde che era!
Hai perso il pettinino,
oè, oè,
amante mia,
il pettinino che era di vetro.
Il pettinino tuo,
oè, oè,
che era di vetro verde,
amante,
oè.
II
Domattina, spettinata,
domattina.
E come andrò io a messa,
spettinata?
Dirà la Vergine Maria:
Com'è che vieni a messa spettinata?
III
Dormi.
Che nel mare, orto perduto,
va e viene, amante, il tuo pettine, tra i capelli, vita mia,
d'una sirenetta verde.
D'una verde sirenetta
che sulla riva si pettina
mentre la riva va e viene.
Dormi, amante mia,
ché va e viene.
Restai addormentato, mia amante,
a nord dei tuoi capelli,
vogando, amante, e sognando
che due piccoli neri pirati
mi stavano assassinando.

Rafael Alberti (1902)
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Rimasero talmente soli (Wislawa Szymborska)

Rimasero talmente soli, così senza parole,
di miracolo degni per tanto disamore –
d'un fulmine in cielo, d'esser mutati in pietra.
Tirature a milioni di mitologia greca,
però non c'è salvezza né per lui né per lei.
Se ci fosse almeno qualcuno sulla porta,
qualcosa, un solo attimo, apparisse, sparisse
spassoso, triste, da ogni e nessun dove,
fonte di riso e amore.
Ma non accadrà nulla. Nessuna inattesa
inverosimiglianza. Come in un dramma borghese,
questo sarà un lasciarsi del tutto regolare,
senza neanche un apriti cielo a solennizzare.
Sullo sfondo fermo del muro,
penosi reciprocamente,
stanno di fronte allo specchio, in cui
c'è il riflesso sensato, e poi niente.
Solo il riflesso di due persone.
La materia sta bene attenta.
Per quanto lunga e larga, e alta,
in terra, in cielo e ai lati
vigila destini innati
– quasi per una cerbiatta improvvisa nella stanza
dovesse crollare l'Universo.

Wislawa Szymborska

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Invito all’amore (Giuseppe Conte)

Sei così bella questa sera
così assurdamente felice
che dovrei osare ora, subito
farti scivolare giù la camici
larga e bianca attraverso
cui intravedo il tuo seno
e prenderti qui nel giardino,
prenderti sino al primo mattino.
Invece ci siamo appena baciati
e adesso già fuggiamo via
dicendoci solo: ci rivedremo.
Ma quando? Dove? Chi ci assicura
che tanta brama domani dura?

Giuseppe Conte (1945)

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